«Mi sveglio sempre in forma
e mi deformo attraverso gli altri.»
A. Merini
Parto da un riferimento all’introduzione al Colonismo Moderno, in cui ho accennato della questione relativa alla formazione del linguaggio coloniale incentrato sulla costruzione di dominazione e subordinazione dell’alterità che per secoli ha aiutato a ‘giustificare’ le atrocità e l’istituzionalizzazione del potere dominante. Ho anche accennato al fatto che gli elementi costitutivi di tale linguaggio non siano stati introdotti dal colonialismo moderno, sebbene non si discuta sul fatto che il quest’ultimo abbia portato ad una dimensione mondiale il profondo dramma dell’identità e dell’alienazione.
L’unità è un mito. L’alterità si pone da sempre al centro di questioni filosofiche sull’essere, fin dai tempi di Platone. Nel corso del tempo e mentre venivano a solidificarsi certe ideologie, l’altro ha assunto fisionomie diverse: il barbaro, l’ebreo, l’indio, l’omosessuale, il nero, sono solo alcuni esempi. Nella Bibbia la donna è l’altra creata dopo l’uomo e nella struttura della società patriarcale diventa subordinata al ruolo maschile; Caino e Abele non riescono a vivere in accordo, l’uno nega l’altro. Prima ancora del cristianesimo, nel mito classico delle metà si narra che durante un simposio, in una discussione sull’amore in cui presenziava anche Platone, il commediografo Aristofane intervenne dicendo che un tempo gli esseri umani erano perfetti, esisteva un equilibrio appagante, non mancavano di nulla e non v’era distinzione fra uomini e donne. Successivamente Zeus, invidioso, spaccò l’essere in due e da allora nacquero l’uomo e la donna, in perenne insoddisfazione e ricerca della propria metà per recuperare l’antica perfezione. Insomma, l’ideale di perfezione non ammette differenze. Si comprende come l’ampliamento del mondo e le scoperte cinquecentesche abbiano aperto i lembi di una ferita che l’umanità ha sempre avuto, ovvero paura delle differenze.
La decolonizzazione non ha portato assolutamente all’abbattimento dei pregiudizi e del timore nei confronti dell’altro, anzi. Non mi dilungherò sugli infiniti esempi di tolleranza dell’altro, sull’integrazione, sulle questioni dell’immigrazione e tutto quello che avviene nel mondo attuale.
Circa un anno un fatto di cronaca nera riportava che un folle, aggirandosi nudo fra le stradine di Cinisello Balsamo e gridando al mondo “sono un uomo libero!”, armato di coltello, aveva ucciso un uomo e ne aveva feriti altri due. In effetti, in numerosissimi altri fatti di cronaca si riportano omicidi alla base di cui il carnefice abbia ritenuto ‘fastidiosa’ la presenza delle vittime e abbia dunque scelto l’omicidio come rimedio definitivo: potenziali impedimenti di relazioni, oppure situazioni scomode e difficili da gestire, insomma un intralcio alla propria libertà. Curioso come, certo nella sua forma patologica (estrema, direi), l’essere umano decida di affermare la propria libertà ponendo fine a quella degli altri, che siano i suoi cari o dei perfetti sconosciuti ha poca importanza, come se l’affermazione di tale libertà dipendesse proprio dall’eliminazione della presenza altrui.
L’identità si definisce in relazione allo spazio (e al contesto) e alla presenza dell’altro; fondamentalmente non esiste alcuna definizione di identità senza la presenza dell’altro. Il pronome io dipende dagli altri pronomi. Tuttavia questo risulta problematico poiché, come negli esempi estremi sopra citati, il rapporto identità/alterità è generalmente negativo, se non distruttivo e mortale, tanto che ha ha dato risultati quali l’annientamento di culture, di individui, le guerre (di dominio, di possesso, di affermazione, di eliminazione e di altro).
Tratta il tema dell’identità lo scrittore mozambicano di origine portoghese Mia Couto. Egli ha affermato che per risolvere la questione dell’identità/alterità si è necessario di cambiare completamente atteggiamento nei confronti di questo. Mia Couto è una bellissima voce rappresentante di un Paese africano sub-sahariano che da secoli affronta problemi che evidenziano l’assenza di progresso nel mondo contemporaneo: la fame, la miseria e la malattia. Le statistiche dicono che circa tre milioni di individui in Mozambico moriranno di AIDS nei prossimi 20 anni, la maggior parte dei quali sono giovani, ovvero rappresentanti della forza lavoro che ‘potenzialmente’ dovrebbe alleviare il peso della miseria. Il reddito pro-capite e il tasso di alfabetizzazione sono tutt’oggi dei dati raccapriccianti. Mia Couto è una di quelle voci che continuano imperterrite a stimolare l’uguaglianza (o la disuguaglianza costrittiva), dei popoli. Non è sufficiente costruire nuove scuole, nuovi ospedali e tanto altro se non dopo aver completamente cambiato l’atteggiamento, ovvero aver eliminato il male, la negatività. Finché non verrà sovvertito il rapporto nei confronti dell’identità/alterità e non sarà trasformato in un rapporto positivo, non potrà esserci alcun cambiamento reale.
L’alterità è ciò che permette di definirmi, deve esistere altrimenti non esisterei (la vita non esisterebbe senza la morte, il dolore non esisterebbe senza il piacere); l’alterità mi arricchisce, mi permette di essere più individui e mi rende libero di muovermi, di trasformarmi, di sperimentare, di provare. L’alterità mi da la libertà di scegliere se prendere una decisione piuttosto che un’altra, mi da la possibilità di ragionare, valutare sotto molteplici prospettive, di pensare, di essere umano. In una raccolta di saggi e discorsi di Mia Couto, che credo non sia stato ancora tradotto in italiano (almeno non in versione integrale, da quello che mi risulta), intitolato Interinvenções, egli scrive: “Aspiro ad un essere umano plurale che abbia una lingua plurale. Accanto alla lingua che ci fa appartenere al mondo dovrebbe co-esistere una lingua che ci faccia uscire dal mondo. Ovvero, da un lato una lingua che crei radici, dall’altra una lingua che ci dia ali per viaggiare”.
Identidade
Preciso ser um outro Sou grão de rocha Sou pólen sem insecto Sou areia sustentando Existo onde me desconheço No mundo que combato morro |
Identità
Devo essere un altro Sono briciola di roccia Sono polline senza insetto Sono sabbia che sostiene Esisto dove mi disconosco Nel mondo che combatto muoio Mia Couto |