Noi lettori appassionati non possiamo permetterci di ignorare del tutto i cosiddetti Classici della letteratura. Di tanto in tanto, per quanto i nostri gusti possano essere diversi e spaziare attraverso i generi più vari, sentiamo quasi il dovere di afferrare uno dei libri della sezione Classici e leggerlo (o rileggerlo), affinché possa essere incluso nel nostro patrimonio delle letture completate. Potrebbe persino risultare imbarazzante addentrarsi in disquisizioni letterarie con i nostri ‘colleghi’ lettori senza mai attingere dalla condivisa banca dati dei Classici per poter tirar fuori al momento giusto qualche personaggio, titolo, o persino qualche citazione . Nel famoso saggio di Italo Calvino, intitolato Perché Leggere i Classici, fra le varie definizioni di classico avanzate dello scrittore al punto tre si legge che:
«I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.»
Tuttavia, la rilettura dei Classici – poiché di solito si utilizza proprio il termine rilettura, anche quando ci si sta riferendo a letture nuove – fa sempre emergere delle riflessioni interessanti e apre la via a molteplici interpretazioni.
Dal mio punto di vista di lettrice tendo spesso ad utilizzare il termine Classico un po’ con le pinze, ponendomi la questione di chi (o cosa, quale ente o istituzione culturale) abbia deciso di includere certi libri nella categoria dei Classici e, per controparte, escluderne altri. Per me quella dei Classici è una categoria potenzialmente aperta, che può includere tutti quei libri (inclusi quelli che sono stati ignorati o passati in secondo piano) di un’altra epoca, che riescono a riproporre alcuni degli elementi universali dell’essere e dell’esistenza. Tuttavia, il rovescio della medaglia dei Classici implica che essi possano far emergere aspetti fortemente (forse anche troppo) legati all’epoca e alla cultura a cui appartengono e in cui sono stati prodotti, evidenziandone così degli elementi obsoleti. Così sia gli scrittori che i lettori possono sentire il bisogno di riscrivere e revisionare le informazioni veicolate attraverso i Classici e, nei casi più estremi, di stravolgerle.
Pare che fin dal 1963 a Pasolini venne in mente di riscrivere la Divina Commedia dantesca in modo che potesse riflettere la sua epoca, vista dal suo occhio e dalla sua prospettiva. Dante morì nel 1321, quando il capitalismo moderno non era neppure agli albori e non si sapeva ancora che la Terra fosse sferica; eppure la sua Divina Commedia è inclusa fra i Classici della letteratura italiana e fa parte di quei libri scolastici di lettura e analisi che ancora vengono ancora somministrati oggi a studenti giovanissimi che a fatica riescono ad immaginare un mondo senza Android, WWW e social network. Al tempo, Pasolini lavorò a lungo su questa difficilissima sfida letteraria che si era proposto di affrontare e nel 1975, poco prima di essere assassinato, dette alle stampe quanto era riuscito a mettere insieme e di cui non riuscì a vederne la pubblicazione. La Divina Mimesis è un’opera, molto probabilmente incompleta, la cui struttura lascia trapelare di tanto in tanto un processo di work in progress mai portato a termine. Chissà che Pasolini, se ne avesse avuto la possibilità, non avrebbe prodotto una nuova versione revisionata e aggiornata, magari includendo riferimenti a fatti di errori ed orrori della storia contemporanea che stiamo vivendo.
Oggi, mentre sfoglio su un computer le notizie riguardanti ciò che hanno chiamato “Terrore” (quello contemporaneo), che distrugge le vite di alcuni e minaccia quelle di altri, che smantella le componenti di uno stato teoricamente fondato sulla libertà e sulla pace per trasformarlo in uno stato di massimo controllo e allerta, mi ritrovo nel contempo a leggere le parole di Pasolini e a sentirle molto vicine, nonostante io non abbia vissuto la sua epoca.
«Odiamo il conformismo degli altri perché è questo che ci trattiene dall’interessarci al nostro. Ognuno di noi odia nell’altro come in un lager il proprio destino. Non sopportiamo che gli altri abbiano una vita e delle abitudini sotto un altro cielo. Vorremmo sempre che qualcosa di esterno, come per esempio un terremoto, un bombardamento, una rivoluzione, rompesse le abitudini dei milioni di piccoli borghesi che ci circondano. Per questo è stato Hitler il nostro vero, assoluto eroe. Egli è stato il deputato dei Rimbaud di provincia, che hanno passeggiato sui selciati delle loro città, con la stessa spavalderia con cui altri giovani piccolo borghesi – e soprattutto quelli che da lavoratori stavano diventando piccolo borghesi – hanno accettato il conformismo dei padri. Convinzioni e abitudini; paure e violenze; lavoro e festività; patrie e chiese. Hitler ha realizzato i discorsi – dolci e ipotetici, fanatici e confusi – mescolati alle piccole scie verdi delle lucciole che indicavano tepore sotto le oscure viti; o alle voci degli autisti nelle piazze polverose, che indicavano nostalgicamente uno strato di umido sugli scalini di pietra dei monumenti…
Hitler, nostro eroe orrendo, incarnazione dei ragazzi infelici, che avrebbero voluto arrestare il suono delle campane dietro i campi di granoturco, o le sirene in fondo a prospettive di portici comunali – perché la piccola borghesia dormente si destasse, e corresse sulle piazze a ripetere malgré soi, le sofferenze creatrici di Cristo.
Mi scuso quindi col mio lettore – che ha ragione di essere impaziente- per non saper rappresentargli una visione del mondo confortata dalla saggezza o dall’estremismo che vorrei. L’inferno che mi sono messo in testa di descrivere è stato semplicemente già descritto da Hitler. È attraverso la sua politica che l’Irrealtà si è veramente mostrata in tutta la sua luce. È da essa che i borghesi hanno tratto vero scandalo, o, mi vergogno a dirlo, hanno vissuto la vera contraddizione della loro vita.
Hitler è stato frutto dei loro figli poeti, che hanno fatto un sogno molto più vero, più grande e più terribile di quello che fossero in grado di fare. (Poeti anche figli di Ebrei). È vero: dei poeti altrettanto grandi, hanno sofferto e soffrono per tutto questo, e vorrebbero per gli uomini una Germania e un’Europa veramente tutta innocente: anche meschina e umile, perché meschina e umile è la grande vita dell’uomo. Ma i primi poeti, quelli che hanno sognato gli stermini tra le baracche, i mucchi di corpicini sotto le palandrane, e i capelli sui crani dei cadaveri mossi dal venticello del settentrione, erano quelli che avevano ragione, perché la primavera ha sempre portato e sempre porterà il riso terrificante dell’idiota.»
Tratto da ‘Appunti e Frammenti per il IV Canto’ da La Divina Mimesis di Pierpaolo Pasolini.

5 responses to “L’Inferno secondo Pasolini e la riscrittura dei Classici”
sempre spunti interessanti i tuoi, sei davvero una fonte preziosa 🙂
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grazie per la visita e grazie mille per l’attenzione! 🙂 buona serata!
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A te 🙂
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Molto interessante è questo post. Ma non è una novità. Semmai è una conferma del tuo talento.
Notizie interessanti e dettagliate, unite da un senso critico veramente eccellente.
O.T. ho cominciato Americanah, che in un certo senso mi avevi suggerito. Le prime cinquanta pagine mi hanno prerso e continuerei a leggerle se non dovessi fare altre cose.
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Troppo gentile, ma ti ringrazio!
O.T. a proposito di scambi letterari: mi fa piacere che l’inizio Americanah ti stia piacendo, spero continui nella stessa maniera; io non ho trovato nessuna pagina del libro noiosa. Ho cominciato il tuo libro, ho avuto una buona impressione iniziale, mi spiace solo non sia disponibile per lettura vecchio Kindle quindi non avrò modo di leggerlo nei viaggi giornalieri da pendolare, mi ci vorrà un po’ più di tempo. Ti farò sapere più in là.
Buona serata!
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