Visita al Museo: “West Africa: Word, Symbol, Song”

Premessa

Ho valutato se pubblicare o meno questo post, trattandosi di una “revisione” un po’ diversa da quelle condivise fino ad ora, poiché l’oggetto sotto osservazione è una mostra di arte, letteratura e storia.
Le ragioni per cui alla fine ho optato per la pubblicazione dell’articolo sono i seguenti:
1. Per una motivazione personale, poichè trovo utile il modo in cui la scrittura riesca a fissare un’esperienza principalmente visuale (e uditiva, in questo caso specifico). In effetti, è stata sempre mia abitudine prendere appunti e annotazioni durante lo svolgimento di eventi o visite ai musei, che ho puntualmente perduto da qualche parte, insieme alla memoria di alcuni dettagli che avrei voluto conservare;
2. Ho pensato che la pubblicazione potesse essere utile in uno spazio di condivisione come questo, dove poter trovare spunti più o meno utili.
A mio avviso, la selezione delle infomazioni fatta in occasione dell’allestimento della mostra è interessante, essa fornisce più che altro degli spunti per poter fare ricerche ulteriori qualora si avesse voglia di conoscere qualcosa in più. Però, la prospettiva letteraria è parecchio scarna, si perde nel corso dell’esposizione e la si recupera (parzialmente) solo alla fine, in fase di chiusura. Però, è probabile che non si volesse lasciar prevalere la letteratura sugli elementi storici presentati.
All’interno della mostra è vietato fare fotografie e non posso biasimarne il motivo; in caso contrario, sarei probabilmente riuscita a riprodurre in questo spazio un piccolo tour virtuale su modello dell’originale. La visione degli artefatti, dei colori e il confezionamento fatti per quest’occasione rimane comunque riservata a coloro che possono recarsi presso l’imponente British Library di Londra e pagare un biglietto di 10,00£ a persona (salvo per gli aventi diritto alle tariffe ridotte, che sono qui disponibili). In verità, ho trovato sul web alcune foto dell’esposizione fatte da visitatori più audaci di me, ma non utilizzerò le loro foto. Piuttosto che limitarmi a descrivere quello che ho visto, ho pensato di aggiungere in alcuni punti un tocco personale e riportare qualche appunto recuperato da qualche parte. Ho cercato di includere dei link esterni per poter raccogliere quello che altri hanno scritto a proposito dell’Africa Occidentale su altre pagine del web. Sarebbe bello se, passando di qui, qualcuno potesse commentare lasciando un link di riferimento alle proprie informazioni in merito all’argomento e nella circoscrizione dell’Africa Occidentale (un articolo di blog affine, una foto, il titolo di un libro di uno scrittore originario del posto, ecc….); io, viaggiando su internet, ho recuperato alcune delle parole scritte da altri (che includerò di seguito), ma sono sicura che ci sarà ancora tanto altro da scoprire.

Menu- Visita al Museo

Introduzione
Prima parte: Building
Seconda parte: Spirit
Terza parte: Crossing
Quarta parte: Speaking Out

Qui è possibile visualizzare il depliant per il pubblico.

IMG_4599[1]Introduzione

La British Library ha inaugurato lo scorso 16 ottobre 2015 un’esposizione tematica di durata limitata presso la Paccard Gallery, una saletta alla quale si accede attraverso una porta semi-nascosta all’interno del negozietto nei pressi dell’entrata principale. L’evento in questione rimarrrà aperto al pubblico ancora per poco, la chiusura è programmata per il 16 febbraio 2016, ma in questo tempo ha voluto affidare il ruolo di protagonista alla regione dell’Africa Occidentale, dandole modo di attirare su di sé l’attenzione dei visitatori, presentandosi in tutta la sua specificità e diversità rispetto al resto dell’enorme continente di cui fa parte.
Svolgendosi nella capitale multietnica di uno degli ex-imperi occidentali, l’esposizione ha permesso in parte di riportare alla mente gli antichi legami e le relazioni fra Paesi tanto diversi e tanto distanti, ricongiungendo tre continenti e molteplici culture. Tuttavia, quello che di questi secolari legami rimane nell’ormai sovraffollata Londra è una talvolta confusa multiculturalità (di cui è difficile comprenderne il significato e le varie sfumature), un ammasso di rappresentazioni (più o meno veritiere).
Nonostante le informazioni che passano attraverso l’esposizione non siano inedite (né lo sono gli artefatti e le installazioni), la cura dedicata alla composizione del percorso e la selezione degli elementi rendono questa mostra un po’ speciale, lasciando chiaramente intendere il suo scopo, ovvero quello invitare il visitatore a provare un’esperienza multisensoriale, attraverso il potere della parola, del simbolo e del suono.

L’Africa Occidentale si estende su un vastissimo territorio che comprende ben 17 nazioni, con una popolazione di oltre 340 milioni di abitanti, con una varietà di oltre 1000 lingue diverse riconosciute.

west africa

La mostra si organizza nello spazio dividendosi in quattro sezioni diverse che seguono un ordine tematico, mentre all’interno di ogni singola sezione le informazioni tendono ad essere sistemate in ordine cronologico.

Prima Parte: Building

Il titolo della sezione non sta ad indicare gli “edifici” né la costruzione di questi, bensì il concetto di “formazione” degli stati nazionali, ripercorrendo un itinerario storico per individuare alcuni dei più grandi regni o imperi locali, cominciando dai centri di potere e di controllo dei territori dell’Africa Occidentale sorti all’epoca delll’Europa medievale. L’excursus storico, seppur breve, schematico e non esaustivo, presenta al visitatore lo splendore delle civiltà della regione prima e durante i contatti e le relazioni politiche ed economiche con gli europei:

  1. L’ Impero del Ghana (dal 300 al 1200 d.C. circa) comprendeva l’attuale zona della Mauritania sud-orientale e il Mali Occidentale. Chi pose le fondamenta dell’impero fu un gruppo di commercianti che portavano avanti delle costanti e influenti attività sul territorio, all’epoca ricco di sale e oro. L’introduzione del cammello nella zona nel III secolo rivoluzionò il corso del commercio, migliorandone i tempi e le modalità di trasporto. Djenné-Djeno fu una delle prime città urbanizzate e oggi, dall’alto dei suoi 2000 anni di vita, è si è trasformata in un importante centro archeologico UNESCO.
  2. Impero del Mali (dal 1230 al 1600) che riassorbì ciò che era rimasto dell’Impero del Ghana dopo il declino (riferimento al punto precedente). L’Impero fu fondato dal guerriero Sunjata Keita, rappresentante dell’etnia Mandinka, dopo la vittoriosa battaglia di Kirina nel 1235 e in seguito alla sconfitta del gruppo etnico Sosso. La figura di Sunjata assunse tratti eroici e fu associata a una lunga tradizione orale di storie epiche, racconti e leggende, in parte arricchiti da elementi magici e di fantasia. Sorse la città di Timbuktu che divenne un importantissimo centro culturale e di ricerca.
  3. Impero Songhai, fondato nel 690 dalla dinastia berbera dei Zaghawa-Lemta, che abbracciò l’Islam fin dal IX secolo.
  4. Il Regno Ife (dal 1000 al 1500 d.C circa), corrispondente ad una buona parte dell’attuale Nigeria, si costituì attorno all’omonima città.
  5. Impero Wolof, dal 1300 al 1556, raggiunse il suo maggior apogeo nel XVI secolo per poi cominciare una rapida discesa e ridursi ad un piccolo regno. Quest’ultimo fu definitivamente smantellato dai francesi nel 1890.
  6. Impero di Oyo in Nigeria (1600-1830), fu prevalentemente di dominazione yoruba.
  7. L’impero Ashanti in Ghana (1701-1896) è ricordato per supremazia del capo Osei Tutu.

    Ashanti_street
    Illustrazione di Thomas Bowdich, 1816, Le strade di Kumasi, capitale dell’Impero Ashanti.
  8. Il califfato indipendente arabo Sokoto (1809-1903, smantellato dagli inglesi), anche conosciuto come Impero Fulani, con cui si affermò il potere degli arabi sul territorio che, si ricorda, avevano cominciato ad arrivare nella regione già fra il VII e VIII secolo.
adinkra.jpg
Decorazioni di simboli adinkra su tessuti.

Oltre ai cenni storici scritti e distribuiti su pannelli lungo il perimetro del primo braccio del percorso, le teche mettono in mostra alcune delle più importanti vestigia degli imperi, per la maggior parte si tratta di donazioni di viaggiatori o di collezionisti privati:

 

  • Anfore, pesi di ottone utilizzati per pesare l’oro forgiati in forme simboliche (animali oppure i sandali che rappresentavano il potere), contenitori.
  • I libri, solitamente di provenienza europea, sono sempre aperti in pagine scelte che mostrano i resoconti dei viaggiatori e dei primissimi commercianti europei, oppure i disegni raffiguranti le strade degli antichi imperi:
    – Polyglotta Africana, è uno studio comparato linguistico ad opera del tedesco Sigismund Koellesu 156 lingue africane;

    Polyglotta Africana
    Pagine di Polyglotta Africana.

    – di Thomas Bowdich sono in mostra alcune pagine di diari e resoconti di viaggi, impreziositi dalle sue illustrazioni.

    Jean BarbotJean Barbot fu un commerciante di schiavi francesce, autore di numerosi diari di viaggio ricchi di descrizioni dettagliate, mappe e illustrazione di strade da esplorare, di cui rimangono numerosi manoscritti.

  • senegal
    Mappa del Senegal, dalle pagine del diario manoscritto di Jean Barbot del 1688.
  • Non mancano i tipici timbri con le forme dei simboli adinkra, utilizzati per decorazionidi vario tipo, soprattutto su recipienti, contenitori e tessuti.

Seconda parte: Spirit

Il titolo della seconda parte ben si riferisce allo spazio circostante, senza aver bisogno di spiegare il contesto con troppe parole, focalizzandosi sull’elemento spirituale dei territori dell’Africa Occidentale e sul fondamentale ruolo da esso svolto sia a livello politico-amministrativo che nella vita quotidiana del popolo. A prescindere dai molteplici cambiamenti culturali e socio-economici, dall’arrivo e dalla diffusione delle diverse religioni, una cosa sembra essere rimasta invariata nel corso dei secoli, dalle origini ad oggi: l’importanza della parola e del simbolo, sia scritto che orale.

La simbologia svolge un po’ il ruolo di elemento di connessione fra le varie sezioni attraverso le quali l’esposizione si sviluppa, avvalendosi di elementi visivi e sonori. In verità, essa è anche una delle chiavi per accedere alla comprensione della letteratura contemporanea dell’Africa occidentale, fatta di racconti e storie di incontri e scontri fra culture, lingue e linguaggi, che interagiscono fra loro attraverso molteplici atti di (ri)codificazione e formarmazione delle identità.

Oltre a questo aspetto generale, è anche vero che per la componente spirituale è stata fondamentale l’azione delle religioni che hanno attraversato la regione nel corso dei secoli. Partendo da un punto più lontano nel tempo, le religioni locali indigene si basavano sull’interpretazione dei simboli naturali, dei fenomeni atmosferici, del sole e della luna, delle energie percettibili, cose che regolavano il sostentamento, la vita e la morte dei membri delle comunità. Per questo gli individui sentivano il bisogno di circondarsi da simboli fisici e tangibili (decorazioni di ogni tipo, oggetti, monili, maschere) che potessero concretizzare la presenza di forze ed energie inafferrabili. Oltre agli oggetti materiali, le celebrazioni, le feste e riti annessi scandivano i momenti  più rilevanti della vita di ogni giorno, coinvolgendo la partecipazione di ogni membro delle varie comunità. Il visitatore apprende l’importanza dell’uso di collane con amuleti che, prima ancora di abbellire esteticamente un corpo, servivano (e continuano a servire) sia per protezione contro le energie neative (il male e la sfortuna), sia per attirare e accumulare le energie positive. Anche qui, la sezione è arricchita da oggetti, installazioni video e audio che mostrano e fanno ascoltare al visitatore i suoni della musica, degli strumenti e delle voci locali.

bwa mask
Maschera Bwa, si pensava che queste maschere yoruba avessero poteri magici.

Maschere, oggetti simbolici in pietra, costumi e strumenti musicali (tamburi tradizionali, kora e altri), sono alcuni degli elementi legati ai riti e alle cerimonie per onorare donne, persone, animali, per ringraziare la natura o implorare il suo aiuto, ma servono anche per raccontare storie e narrare le imprese delle imprese o delle guerra del passato. Ancora oggi i griot (o jali) dell’Africa Occidentale sono i narratori, i cantastorie, depositari di gran parte della tradizione orale e del grande patrimonio culturale regionale; essi possono anche poeti o musicisti, oppure tutte le cose insieme, delle specie di bardi africani.

Dal XVI secolo il cristianesimo fu gradualmente introdotto nella regione, a partire dalle zone costiere che furono il primo contatto con i commercianti occidentali, per poi raggiungere i territori più interni. L’innovazione maggiore che il cristianesimo apportò fu sicuramente l’introduzione della stampa per opera delle missioni, con lo scopo di diffondere più velocemente e più efficientemente le scritture cristiane. In seguito lo sviluppo della stampa locale avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella diffusione delle idee degli autoctoni, per l’indipendenza e per lo sviluppo delle letterature nazionali.

Dal XII secolo l’Islam, in sintonia con la crescente espansione e le conquiste arabe, cominciò ad infiltrarsi nell’Africa occidentale, portando con sé la lingua araba. Il Corano viene introdotto nelle comunità indigene e alcuni cominciano, o per interesse o per costrizione, a praticare l’Islamismo e a dedicarsi allo studio della lingua araba orale e scritta.
A causa della disomogeneità linguistica del territorio, nel 1811 fu tradotta la prima versione della Bibbia in arabo per agevolarne la diffusione.

griotTerza parte: Crossing

La sezione riporta a galla pagine di storia scritte o ignorate, fatti più o meno dolorosi di guerre e di pace, ricordando che, da sempre, la regione dell’Africa occidentale è stata collegata con gli altri territori attraverso l’attività di commercianti, avventurieri o semplici viaggiatori, esploratori e schiavisti.

Il visitatore ripercorre alcuni dei punti che hanno segnato l’esistenza di oltre 12 milioni di individui, sradicati dal continente africano di origine e gettati in terre straniere: poco o nessun controllo essi avevano sulle proprie vite e sul proprio destino di esseri umani. Tuttavia, in queste attraversate e in questi viaggi verso l’ignoto, in queste dinamiche complesse volute da leggi del mercato delle potenze economiche, ognuno ha portato con sé la propria identità e le proprie storie. Totto questo non potrebbe essere raccontato e condiviso in uno spazio così piccolo come quello di una sala di un museo, per questo si va avanti lungo il percorso.

Si accennano appena le vite di alcuni, il resto lo si lascia alla discrezione del visitatore, il quale chissà non avrà magari voglia di impegnarsi nella ricerca di altre informazioni, per conoscere altri di quei milioni di volti e altre di quella miriade di storie mai raccontate.

equiano_frontispieceLa vita di Olaudah Equiano ha dei tasselli mancanti, come la vita di tanti altri, ma di lui si sa che nacque in Nigeria e che fu strappato dalla sua terra all’età di undici anni per diventare uno schiavo in una sconosciuta isola dei Caraibi. Gli eventi lo portarono in vari luoghi, facendolo passare attraverso la Royal Navy e la protezione del ricco mercante Robert King, grazie al quale imparò a leggere e a scrivere, finché non riuscì a risparmiare abbastanza denaro per ‘comprarsi’ la libertà (anche aiutato da una serie di congiunzioni e di condizioni favorevoli) e a partecipare al movimento per l’abolizione della schiavitù.

La vita di Catherine Mulgrave (1820-1891) sembra sia
stata graziata da una serie di eventi che la fanno oggi ricordare come una donna di grande reputazione e una femminista pioniera. Nata in Angola, fu trasportata dai portoghesi dall’altra parte dell’oceano quando era ancora una bambina e, in seguito ad una terribile odissea marittima, anziché giungere a Cuba secondo le previsioni, finì con l’approdare in Jamaica. Qui ella ricevette una buona educazione per opera delle associazioni missionarie locali e intraprese un percorso culturale alla ricerca del riscatto personale. Liberandosi finalmente dallo stato di schiavitù, riuscì asposarsi con un missionario e tornare in Africa in veste di insegnante. Dopo un primo divorzio diventò la moglie di un capo di una delle missioni, Johann Zimmerman.

zimmerman_mulgrave

Analogamente ad Equiano, il ghanese Ottobah Cugoano fu fra gli ex-schiavi che si procurarono la libertà dopo aver sbattuto più volte e violentemente la testa contro il muro della società schiavista e, dopo aver stretto rapporti con alcune personalità parecchio influenti della scena politica inglese, divenne un abolizionista militante. Di lui si ricorda la frase: «Africans are born as free and are brought up with the same predilection for their country, freedom and liberty, as the sons and daughters of fair Britain».

Quarta parte: Speaking Out

Presentando temi che questo blog spesso cerca di toccare, l’ultima parte si ridisegna su un lungo, complesso e faticoso processo cominciato dal XVI secolo, ovvero la linea di demarcazione che ha cambiato il volto del Mondo, intrecciando popoli, culture, rappresentazioni e relazioni. Schiavitù e libertà, dominazione e subodinazione, centro e periferia, sono alcuni dei binomi che determinano i grandi movimenti e le ‘traslazioni’ culturali, le diverse forme di Resistenza, di risposta, di creazione, di pulsioni artistiche, di espressione e di molteplici voci che parlano in lingue diverse. In effetti non cé una netta separazione fra la fine della parte precedente e questa, si continua a seguire piuttosto la linea degli incontri e delle rivoluzioni per l’affermazione delle varie identità.

Oriente e Occidente, Nord e Sud si incontrano nelle Rivoluzioni (certo, si tratta di rivoluzioni e ribellioni diverse per gli uni e per gli altri, ma che hanno delle dinamiche comuni), ed è attraverso la letteratura che essi comunicano.
William Wordsworth nel 1802 dedica un sonetto ad una delle principali personalità della rivoluzione di Haiti, Toussaint L’Ouverture, un ex-schiavo contro Napoleone:

TOUSSAINT, the most unhappy of men!
Whether the whistling Rustic tend his plough
Within thy hearing, or thy head be now
Pillowed in some deep dungeon’s earless den;-
O miserable Chieftain! Where and when
Wilt thou find patience? Yet die not; do thou
Wear rather in thy bonds a cheerful brow:
Though fallen thyself, never to rise again,
Live, and take comfort. Thou hast left behind
Powers that will work for thee; air, earth, and skies;
There’s not a breathing of the common wind
That will forget thee; thou hast great allies;
Thy friends are exultations, agonies,
And Love, and man’s unconquerable mind.

In realtà, man mano che si procede lungo il percorso tracciato, il passato non è accantonato né messo completamente da parte, bensì si cercano di tradurre le voci degli antenati e i riti ancestrali attraverso la musica contemporanea e le nuove forme di comunicazione. In questa parte la componente sonora svolge senza dubbio un ruolo predominante, le installazioni audio e video permettono di ascoltare musica, nonché repertori di discorsi politici di emancipazione, libertà, indipendenza politica, la moltitudine parla attraverso i media e si alzano i toni di voci che si sovrappongono.

 

Si ritorna così al tempo e al luogo del presente e il visitatore ha l’opportunità di rivedere alcune delle scene estrapolate  dell’ultima edizione del popolare Carnevale caraibico di Notting Hill 2015.
Poco prima di dirigersi verso l’uscita e ritornare nella dispersiva e caotica metropoli, ecco la svolta nell’ultimo braccio del percorso dell’esposizione, dove il visitatore può approfittare per prender posto su dei comodi divani (a meno che non ci sia troppa affluenza di gente) e prendersi del tempo per sfogliare le pagine di alcuni libri di letteratura contemporanea: Chinua Achebe, Gabriel Okara, Chibundu Onuzo, Ama Ata Aidoo, Elechi Amadi, Amos Tutuola, Chimamanda Ngozi Adichie sono alcune delle voci dell’Africa occidentale contemporanea.

IMG_4596[1]

 

 

 

L’ Africa Occidentale su WordPress con le parole degli altri:

Africa Occidentale News

Progetto Dev Reporter Network

Sia Tolno, musicista della Guinea

Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie secondo NewWhiteBear blog e Vanessa’s Booknotes blog.

(….)

 

 

11 responses to “Visita al Museo: “West Africa: Word, Symbol, Song””

  1. Non so se possono servire, ti mando questi link:

    http://www.scrittidafrica.it/

    Queste sono delle canzoni di Charlotte Di Panda camerunense, l’avevo cercata l’anno scorso per la musica di un post. É giovane, ma canta nella sua lingua. Credo che l’impronta africana si senta. A giudicare dalle visualizzazioni di alcune canzoni è anche molto seguita.




    Spero di non essere uscito fuori tema 🙂

    P.S.: Bel post, l’unica cosa è che lo leggerò a pezzi. É un po’ lungo per leggerlo in una volta sola 🙂

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    • Grazie per aver condiviso questi spunti musicali e aver arricchito questo spazio (certo, il post è già lungo di suo :D, lo comprendo), mi fa molto piacere. Credo che siano voci della regione dell’Africa Centrale,giusto al confine con il West Africa!

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  2. La cantante è camerunense, anche se per me la musica africana l’ho conosciuta con Manu Di Bango, Fela Kuti che era un po’ più elaborata, a parte Youssou N’Dour e Mory Kanté che suona il kora guineano (lo stesso strumento che è nel tuo video) ed ebbe un successo intenazionale con “Yéké Yéké”. Tutti questi sono dell’Africa Occidentale.
    A proposito ho trovato anche uno del Benin che fa soprattutto cori con poca musica. Se vuoi te lo linko. Se poi mi dai il permesso linko a tutto spiano. 😀 😀 😀 😀

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  3. Che percorso affascinante! Hai fatto benissimo ad imbastirci un post su questa visita museale: ti è venuto benissimo, anche senza le foto, e hai saputo rendere con scorrevole chiarezza l’excursus storico-culturale di questa zona africana. Spero ci regalerai ancora, quando ti sarà possibile, degli articoli di questo genere 🙂

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    • Ciao Alessandra, Grazie per il sostegno, ero molto in dubbio su questo articolo ma, alla fine, mi ha permesso di non perdere i miei appunti! 🙂 è giusto divertirsi con articoli diversi, a proposito, mi aspetto altri tuoi articoli in stile “ricerche divertenti”! 🙂 Buona giornata e al prossimo articolo!

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  4. Innanzitutto grazie per avermi citato. Il mio contributo è modesto.
    Il post è veramente interessante come la mostra che hai visitato.
    E’ un vero peccato non essere a Londra per poterla visitare di persona. L’Africa è un continente tutto da scoprire e non così arretrato come gli stereotipi ottocenteschi hanno voluto far credere per giustificare la dominazione coloniale europea.

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