Le forme della scrittura: pensieri e divagazioni

Seguono pensieri personali confusi, ispirati all’argomento settimanale di Circolo16, in cui ci si è posta la seguente questione: Credete sia giusto sentirsi responsabili delle cose che scriviamo? Le responsabilità di una scrittura efficace..

 

Non siamo tutti scrittori, benché tutti potenzialmente possiamo dedicarci alla scrittura. Gli scrittori professionisti materializzano i propri pensieri e le proprie esperienze nella scrittura e in essa altri si riflettono e la condividono (ad esempio un nucleo di persone, una comunità, individui non necessariamente geograficamente vicini). Se si tratta di scrittori di un certo livello, essi riescono a scrivere in modo eccellente, tanto che spesso ciò implica avere un gran seguito di lettori. Gli scrittori, quelli professionisti, riescono a far sentire/percepire/conoscere al lettore quello loro sentono/percepiscono/conoscono.
A differenza delle altre forme d’arte, la letteratura si realizza nella scrittura: essa è l’arte di mettere insieme le parole per raccontare qualcosa. In linguistica secondo Saussure la parola risulta dalla composizione di un significante (espressione) e un significato (contenuto); dunque, essa porta con sé un grande valore. Attraverso la composizione delle parole (la scrittura), all’interno di un sistema linguistico e di una grammatica, si realizzano dei fenomeni di comunicazione, più o meno efficienti. Attraverso la letteratura si comunicano valori culturali, idee; si afferma e si nega qualcosa, si modificano e si rivoluzionano delle idee. E poi ci sono le figure del discorso, che permettono allo scrittore di mascherare la verità, ironizzare, lanciare dei messaggi criptati, dire le stesse cose con parole diverse, e tanto altro. Gli scrittori hanno delle responsabilità enormi, quasi quanto quelle dei lettori. Questi ultimi possono accettare o meno le proposte degli scrittori e possono eleggere scrittori allo status di scrittori professionisti.

La traduzione è una forma di scrittura che ha una direzione di base: punto di partenza-> destinazione (in verità, però, essa si ramifica in molteplici direzioni). D’altra parte, i traduttori ri-scrivono quello che è stato già scritto da altri e devono, almeno in una piccola misura, passare dalla stessa esperienza dello scrittore (naturalmente rimango nell’ambito della traduzione letteraria e non tecnica, altrimenti sarebbe un’altra questione). Se questo non dovesse essere necessario, in base al tipo di testo, essi hanno quanto meno la responsabilità di comprendere perfettamente il contenuto del testo di partenza, altrimenti ci sarebbe il completo fallimento della traduzione. Spesso la traduzione non è possibile perché i due sistemi linguistici/culturali su cui si lavora non hanno delle analogie.
Forse, quanto più emotivamente vicino è il traduttore allo scrittore, tanto migliore sarà il risultato della traduzione. I traduttori non possono tradurre tutti gli scrittori, almeno non tutti allo stesso modo.

Segue una lettera del 1938 – ma, a mio avviso, dal contenuto attualissimo – scritta da F. Scott Fitzgerald (1896-1940) ad un’amica di famiglia, Frances Turnbull. Quest’ultima aveva chiesto il parere di Fitzgerald, già scrittore, in merito ad un suo piccolo lavoro  letterario. Fitzgerald cerca di spiegare il metodo di una scrittura efficiente e di alto livello. Non basta saper scrivere in modo corretto per essere scrittori e, analogamente, non basta conoscere le tecniche di traduzione di base per essere dei traduttori. La scrittura è una forma d’arte dotata di un’anima. Scrivere e tradurre sono dei processi complessi, implicano fatica, sforzo, persino sfinimento e lacerazioni.

 

9 novembre, 1938

Cara Frances,

Ho letto il tuo racconto con molta attenzione e, ahimè, temo tu non sia pronta a pagare il prezzo per fare questo mestiere, di gran lunga superiore alle tue attuali possibilità.
È necessario vendersi l’anima, le emozioni più violente, non basta ciò che ci sfiora appena, fatterelli da raccontarsi a tavola. Questo vale soprattutto per chi comincia a scrivere, poiché all’inizio non si conoscono ancora i trucchi del mestiere per attirare l’interesse dei lettori su fogli di carta e non si possiedono le competenze tecniche che si acquisiscono col tempo. Insomma, per farla breve, all’inizio le emozioni sono l’unico materiale da offrire.

È così per tutti gli scrittori. Charles Dickens dovette riversare in Oliver Twist l’ira funesta di un bambino sfruttato e affamato, cosa che aveva turbato la sua infanzia. Ernest Hemingway, nei suoi primi racconti di Nel Nostro Tempo,dovette scavare fino in fondo a tutto ciò che aveva mai provato e conosciuto. Nel mio Di qua dal Paradiso ho raccontato una storia d’amore che sanguinava come una ferita fresca sulla pelle di un emofiliaco.

È vero che, una volta appreso tutto ciò che è possibile imparare sulla scrittura, un professionista potrà permettersi di prendere la cosa più insulsa, anche un semplice scambio di battute fra tre personaggi femminili a caso, e farne una storia interessante e avvincente. I  dilettanti si illudono di poter fare la stessa cosa. Tuttavia, essi riescono a comunicare emozioni solo attraverso l’uso di espedienti estremi e di massimo phatos, per esempio strappandosi dal cuore la loro prima storia d’amore finita tragicamente e gettarla sulle pagine affinché anche gli altri la vedano.

In ogni caso, questo è il prezzo iniziale da pagare. La letteratura, anche quella leggera, non concede sconti ai neofiti. Scrivere è uno di quei mestieri che richiedono un grande lavoro. Non basta avere coraggio per diventare soldati.

Detto ciò, non credo valga la pena analizzare le motivazioni per cui il tuo racconto non possa essere messo sul mercato, ma ti voglio troppo bene e non voglio illuderti come si tende a fare mia età. Ogniqualvolta vorrai raccontare qualcosa ricordati che avrai sempre la mia attenzione.

Il tuo devoto amico

F. Scott Fitzgerald

P.S.: Ho trovato la tua scrittura scorrevole e piacevole e alcune pagine scritte con stile e arguzia. Hai talento, il che per un soldato equivale ad avere i requisiti fisici richiesti per essere ammessi a West Point*.

*West Point è una località situata nella contea di Orange nello stato di New York, che ospita l’accademia militare federale degli USA.

 

(Fonte: BrainPickings)

 

 

Dall’articolo pubblicato su Circolo16.


10 responses to “Le forme della scrittura: pensieri e divagazioni”

  1. Articolo interessante che emerge dall’anima di tanti discorsi fondamentali sulla scrittura, si sia o meno scrittori di professione.
    Sempre una ricchezza passare tra i tuoi articoli e soffermarsi
    Buona domenica
    Alla prossima!

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  2. Nella lettera di F.S.Fitzgerald c’è tutto, concretizza la premessa del post in modo semplice ma efficace.
    FSF in sostanza dice quello che dirà Bukowski anni dopo, giusto per dire il primo che mi viene in mente, perchè in realtà l’elenco potrebbe essere infinito (ora mi viene in mente anche Carver….. ).

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  3. Proprio in questi giorni mi trovo a rileggere la “revisione corretta” della mia traduzione del romanzo che conosci. Ammetto che per poter scrivere in un’altra lingua, bisogna possedere la facoltà di “sognare” in questa lingua… ma fin qui nulla di stravolgente.
    Sono le finezze e i modi di dire (completamente diversi da quelli della tua lingua materna) a fare la differenza. Quindi scrivere e tradurre, in fondo, sono due concetti completamente distaccati se effettuati da due entità diverse. Mi spiego: riuscire a mettere in parole delle emozioni viscerali, richiede uno sforzo specifico… e per poter ottenere lo stesso risultato in un’altra lingua, ecco che il traduttore deve poter “sognare” nella lingua che traduce, insinuandosi letteralmente nel ego dello scrittore del quale traduce un’opera. Di conseguenza, l’optimum lo si ottiene se il traduttore ha la facoltà non solo di immedesimarsi nello scrittore, ma bensì di andare oltre… molte sottili sfacettature sono a volte non considerate nel giusto equilibrio e questo travisa il messagio profondo di una frase, di una subordinata, di un aggettivo o di un verbo.
    Mi piace definirmi ‘una cittadina del mondo’ che scrive per sé stessa (con una bella dose di vanagloria ed egoismo) per esorcizzare tabù e paure primordiali… certamente legate alle mie vite precedenti.
    Ho letto Carver “il mestiero di scrivere” (l’ho sul comodino) e mi serve per ricordarmi che sono unicamente una principiante che esorcizza le verità nascoste della sua esistenza! Grazie di cuore per condividere…
    Un abbraccio :-)c

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    • Assolutamente si, scrivere e tradurre sono cose diverse. Non essendo una scrittrice, non ho idea di cosa provi uno scrittore quando “crea”. Dalla lettera di Fitzgerald traspare tanta passione, sembra esserci un pezzo di cuore, e sono sicura che in parte sia proprio come scrive lui. Per la questione della traduzione, trovo comunque che essa sia una forma di scrittura complessa, lacerante, difficile, conflittuale e talvolta ricca di compromessi (almeno la buona traduzione).
      Non ho letto Carver, mi sembra un ottimo sputo per qualche lettura da segnare:) Grazie, un saluto e un abbraccio a te!

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  4. Penso che FSF intenda che non è importante scrivere. L’atto in se è semplice: prendi carta e penna e metti nero su bianco quel che pensi. Possono farlo tutti. Sono importanti le reazioni. Quella intimistica dello scrittore, la capacità di appagarsi scrivendo, di far sgorgare dalla sorgente tutto il sangue che ne contiene e di quello soddisfare la sete. La mia Calabria è terra di poeti e scrittori suicidi – Costabile, Zappone, Calogero -.ma è anche terra di ggrandi scrittori che attraverso la scrittura hanno perfezionato prima il proprio equilibrio interiore. Eppoi quella degli altri, di chi legge ciò che hai scritto. Non mi riferisco naturalmente ai “mi piace” che però oggi, diversamente da quando anni fa ho iniziato a swcrivere, ti danno la certezza del contatto tra il tuo scritto e gli altri. E’ importante la catarsi tra scrittore e lettore, sentirsi intersecati, incrociati ed è importante che chi scrive sappia che cìè stata. Mia cara Marian, ha ragione FSF, chi scrive deve essere disposto a vendersi l’anima.

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    • Da lettrice, credo che il “metterci l’anima” di cui parla FSF sia proprio quello che faccia la differenza fra un “individuo che scrive” (magari anche bene) e l’artista.
      Non è detto che i “mi piace” siano segno di vera interazione, a volte sono semplici gesti meccanici che la tecnologia moderna permette.
      Grazie a Circolo16 e agli autori sto conoscendo anche alcuni artisti calabresi e figure di rilievo del nostro Sud Italia. 🙂

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