Le parole dell’altro nel romanzo “The Moor’s Account” di Laila Lalami

 

[…] what am I doing here in this strange land,
in the middle of the battle between two foreign people?

Sebbene il fine della narrativa non sia quello di presentare un fedele resoconto della realtà, essendoci di mezzo la fantasia e l’abilità degli scrittori che mescolano fatti documentati ad elementi di fittizi, essa mette a disposizione degli utili strumenti per revisionare, confutare, riflettere sulla Storia e sulla sua scrittura.

lalami-1Il romanzo di Laila Lalami intitolato The Moor’s Account (2014), non ancora tradotto in italiano, si ispira ad un fatto di cronaca della storia moderna, ovvero la tragica spedizione dei conquistadores comandata da Narváez e partita nel 1527 verso il Nuovo Mondo. La fonte principale del romanzo da cui Lalami attinge è la raccolta di cronache che il navigatore Alval Nuñez Cabeza de Vaca, uno degli appena quattro sopravvissuti, scrisse per il sovrano spagnolo Carlo V. Di quest’ultima l’autrice menziona l’edizione inglese tradotta da Fanny Bandelier e pubblicata dalla Penguin Classics (Chronicle of the Narváez Expedition), e include nella sezione conclusiva del libro una lista di fonti e riferimenti storici da cui ha estrapolato buona parte del materiale utilizzato per la ricostruzione romanzata dell’intreccio principale della storia. La voce del principale protagonista-narratore (l’io narrante) del romanzo si identifica con colui che Cabeza de Vaca annovera fra gli appena quattro sopravvissuti della flotta e al quale dedica solamente le seguenti parole:

[…] el cuarto sobrevivente se llama Estevanico, es negro alárabe, natural de Azamor.

azemmour3
Azemmour,  Marocco.

Dello schiavo non si sa null’altro anche perché, nella realtà dei fatti storici, egli sarà l’unico a non essere chiamato a testimoniare per la  ricostruzione ufficiale degli eventi di La Florida nel corso del processo svoltosi dopo il ritrovamento dei superstiti.

 

Laila Lalami decide risolutamente di dar voce allo schiavo e compie un articolato lavoro letterario per colmare le numerose parti storiche mancanti.
La prima sezione del romanzo passa in rassegna alcuni degli eventi salienti dell’infanzia e della prima giovinezza di Mustafa, sullo sfondo del villaggio marocchino di Azemmour. Rifiutando la professione giuridica come eredità diretta del padre, Mustafa sceglie di intraprendere la carriera commerciale, lasciandosi trasportare dall’avidità del guadagno e supportato dalle sue innate capacità nel settore.
Il punto di rottura dell’equilibrio avviene quando il villaggio cade drammaticamente sotto l’assedio dei portoghesi e perde l’indipendenza politica ed economica, circostanza che ridurrà la grande maggioranza della popolazione locale in totale miseria.
Ecco che, rimescolandosi beffardamente le carte del destino, il precedente coinvolgimento di Mustafa nel commercio degli schiavi africani con gli europei ritorna in direzione opposta: devastato dal dolore nel vedere i suoi cari in estrema condizione di povertà, Mustafa decide di vendersi ad un mercante portoghese, scambiando la propria libertà con una sporca ma ragionevole somma di denaro che avrebbe permesso alla famiglia di sopravvivere per circa un annetto, almeno fino al sopraggiungere di un tanto sperato miglioramento. Mustafa consegna nelle mani dei suoi fratelli minori il denaro macchiato dal peccato umano e lascia tutto ciò che ha di più prezioso, con l’assoluta incertezza di un possibile ricongiungimento futuro.

Sebbene si sia presentato come un personaggio forte e capace di impugnare il proprio destino, sembra non essere possibile per l’eroe fuggire dalle grinfie di una forma di predestinazione: la storia della sua nascita, che sua madre continuava incessantemente a ripetere, lo vuole destinato ad un viaggio senza fine.
Trascinandosi su un’imbarcazione per la Spagna, Mustafa viene ribattezzato con il nome Estevanico e diventa uno schiavo a servizio della famiglia di un benestante commerciante. Finalmente è il subordinato che parla in un particolare contesto storico, descrivendo il viaggio forzato, la deportazione e il ritrovarsi insieme ad altre vittime di un progetto di potere, in un contesto sconosciuto, sradicati come radici dal proprio terreno. È possibile ancora provare sentimenti e innamorarsi di qualcuno, ma la mancanza di poter agire liberamente determina la repressione di ciò che resta di umanità.

To go from freedom to slavery was a fate worse than death; it was a rebirth into an alien world, with its strange customs and unbearable rules.

Il destino che mi toccò, abbandonando la liberà per la schiavitù, fu peggiore della morte; fu come rinascere in un mondo alieno, fatto di ignote usanze e terribili imposizioni.

Non molto tempo dopo, dovendo saldare al più presto un amaro debito di gioco che aveva messo la famiglia alle strette, il primo padrone rivende Mustafa al Señor Dorantes, proprio alla vigilia della partenza di quest’ultimo verso il Nuovo Mondo. Di conseguenza, Mustafa si ritrova involontariamente in viaggio attraverso l’oceano insieme ai conquistadores capitanati Navárez e, sebbene con questi ultimi egli non possa condividere quella bramosia che aveva pur posseduto in tempi di libertà, viene intrappolato dal potente incantesimo della mitica ricerca dell’Eldorado:

The Indians, they said, had red skin and no eyelids; they were heathens who made human sacrifices and worshipped evil-looking gods; they drank mysterious concoctions that gave them visions; they walked about in their natural state, even the women – a claim I had found so hard to believe that I had dismissed it out of hand. Yet, I had become captivated. This land had become for me not just a destination, but a place of complete fantasy, a place that could have existed only in the imagination of itinerant storytellers in the souqs of Barbary. This was how the journey across the Ocean of Fog and Darkness worked on you, even if you had never wanted to undertake it. The ambition of the others tainted you, slowly and irrevocably.

Si diceva che gli Indiani avevano la pelle rossa e gli occhi senza palpebre; erano dei selvaggi, compivano sacrifici umani e veneravano divinità dall’aspetto diabolico; bevevano intrugli che causavano visioni; andavano in giro come madre natura li aveva fatti, persino le donne, cosa talmente assurda che mi rifiutavo di credere. Eppure ero stato affascinato. Per me non si trattava di una destinazione qualunque, bensì di un luogo fantastico che pensavo potesse essere solo frutto nell’immaginazione dei cantastorie itineranti dei souk berberi. Il viaggio attraverso l’oceano nebbioso e oscuro poteva sedurre chiunque, persino chi non avrebbe mai pensato di farlo. L’ambizione degli altri era dilagante, come un lento e inguaribile contagio.

Nel frattempo, la patria d’origine acquista per Mustafa un enorme valore immaginario: quanto più aumentano lo spazio e il tempo che lo separano da essa, tanto maggiore diventa il legame spirituale con questa. Diversamente, giunto nel territorio di La Florida, il nuovo continente diventa reale e si demistifica. Durante la narrazione, però, Mustafa non si rivolge soltanto al lettore, bensì anche al suo Dio, quasi cercando di ricordare a sé stesso che, se proprio deve essere umile servitore di qualcuno, si tratterà certamente di un’entità divina e non di un suo simile fratello terreno.

Poco dopo l’arrivo a La Florida, la narrazione prende una piega spigolosa e dura, alla quale probabilmente il lettore tentennerà nel rimanere attaccato: violenza, incidenti, malattie, pestilenze e  morte. La spedizione in La Florida si trasforma in un devastante viaggio che porterà alla decimazione dei navigatori e si descrivono i sanguinosi scontri contro indios infuriati e pronti ad aggrapparsi a quello che ormai qualcuno ha cominciato progressivamente a distruggere: l’identità. In un clima appesantito dalla disperazione, c’è continuamente qualcuno che muore o che scompare dal gruppo per non farvi più ritorno; c’è persino chi viene accusato di mangiare la carne dei cadaveri, compiendo quel colpevole atto di cannibalismo di cui i selvaggi erano tradizionalmente accusati. In verità,   una volta perse le armi e gli abiti, nella condivisione della sofferenza, si annulla la differenza fra signori e schiavi. Così i pochi conquistadores rimasti smettono di dare un nome alle cose, ai luoghi e alle persone, così questi compaiono nella versione originale e cominciano a vivere mischiandosi nelle comunità indigene.
Un giorno, per caso, Mustafa riesce a curare un fanciullo indigeno malato con un miscuglio di erbe fatto seguendo le reminiscenze della vita nel villaggio nativo e si conquista l’ammirazione del capo e dell’intera comunità. In seguito a questo episodio, i superstiti cominciano a collaborare e ad utilizzare dei metodi per guarire gli indios, alleviare i dolori ed elargire consigli, trasformandosi in curatori capaci di utilizzare positivamente la magia. Sembrano voler riprendersi la propria dimensione spirituale persa in seguito all’allontanamento della guida religiosa, padre Anselmo. Si intensifica a questo punto l’integrazione e si contraggono le nozze fra i superstiti e le donne indigene. A Mustafa spetta la donna più importante, la figlia del capo del villaggio.
Otto anni dopo i quattro sopravvissuti vengono ritrovati da un gruppo di esploratori arrivati da poco e che cavalcano la nuova ondata delle spedizioni d’oltreoceano e si rendono conto di come la situazione sia mutata, in una fase avanzata di colonizzazione europea.

Oltre all’intenzione, chiara sin dall’inizio, di riproporre la storia da una diversa angolazione, The Moor’s account presenta una serie di temi rilevanti in ambito post-coloniale:

L’alterità, si tratta della storia di un altro (o un’altra storia), poiché il romanzo mette luce su delle crepe storiche importanti. Esistono in effetti degli invisibili, persone o comunità di individui la cui presenza non è degna di esser presa in considerazione o che è subordinata a quella di altri. Ci sono voci taciute, nascoste, mai ascoltate. Mustafa è sempre l’altro, tranne nel suo villaggio di nascita.
Tuttavia, il più diverso fra i diversi sarà certamente colui che non facciamo in tempo a conoscere nel libro di Lalami, ovvero il figlio nato da Mustafa e da sua moglie, a cui è destinata la pesante eredità della storia narrata e che incarna il prodotto del processo culturale innescato dalla colonizzazione.

L’ibridismo, inteso come il processo in cui si incontrano culture diverse e si rielaborano e riformulano in uno spazio comune. Nel romanzo esso è esemplificato attraverso il processo di incontro o contatto con l’altro nei tre continenti che appaiono sullo sfondo delle vicende: Africa, Europa e America.

Migrazione, che l’autrice condivide con il protagonista, sebbene nel suo caso non si tratti di una forzatura, ma sembra sia rimasta a vivere negli Stati Uniti per una serie di circostanze personali e lavorative. Però, pare che entrambi non avevano meditato di lasciare il Marocco per vivere altrove. The Moor’s account è la storia di una partenza volutamente senza ritorno, una specie di esilio. Migrare significa sempre lasciare qualcosa alle spalle, negoziare con una serie di compromessi e cambiamenti di vario genere e impatto. È un tema molto caro per l’autrice e che si ritrova nel romanzo La Speranza e Altri Sogni Pericolosi, tradotto da M. G. Cavallo.

La libertà, perché se c’è un messaggio didattico che Mustafa vuole comunicare con forza al lettore è quello che lui stesso ha ben compreso pagando un conto estremamente salato, ovvero che non bisogna mai metter la propria vita nelle mani di qualcun altro, pena la perdita della libertà.
Oyomasot, la mogie indios di Mustafa, è un personaggio di grande spessore, nonostante la limitata presenza nel romanzo. Ad un certo punto si ritroverà costretta ad indossare degli abiti della nobiltà europea e percepirà una terribile restrizione fisica che diventa anche mentale e che vuole richiamare un sistema occidentale sessista e restrittivo del tempo.

La Storia, ma sopratutto l’importanza del raccontare e del narrare. Non è sempre e in ogni caso necessario che i fatti narrati siano veritieri al 100%, poiché una buona storia può avere un potere salvifico (a good story can heal), ed ecco che viene in superficie dal tessuto del romanzo la celebrazione dell’importanza della letteratura.
Ad esempio, nel limitato periodo di convivenza completamente pacifica con gli indios, il vero potere dei superstiti non è tanto quello di guarire miracolosamente la gente del posto, bensì quello di parlare e ascoltare, raccontare e donare speranza nei momenti di sconforto. Coloro che sono gravemente malati sono destinati alla morte ugualmente, ma le storie narrate ed ascoltate possono alleviare l’enorme dolore di chi rimane in vita.

 

L’autrice e gli estratti dal romanzo:

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