Turchia- “Il Museo dell’Innocenza” di Orhan Pamuk

Cada um de nós, ainda que não o saiba, é uma antologia ambulante e traz dentro de si uma história do mundo. Um museu particular. Um álbum de paisagens. A sua estante de livros, com os versos de que se socorre,quando necessita de desabafo, consolo, estímulo e exemplo, os versos que lhe descem naturalmente da memória, como se fossem dele, isto é, nossos, e não de seus achadores.

Alberto da Costa e Silva

 

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Il libro nella versione inglese, The Museum of Innocence, meravigliosamente tradotto da Maureen Freely, edizione Faber & Faber.

Il Museo dell’Innocenza è un libro e un museo, un progetto impegnativo e oneroso, una specie di virtuosismo artistico su cui il suo autore ha lavorato per diversi anni. Oltre al lavoro letterario, Orhan Pamuk si è fatto carico di ogni responsabilità organizzativa e burocratica che il progetto ha comportato, incluso l’acquisto dell’edificio adibito a museo, l’accurata selezione e la raccolta del materiale. Alla pubblicazione del romanzo nel 2008 è seguita l’inaugurazione del  museo nel 2012, che è stato completato da un dettagliato catalogo e da un manifesto artistico consultabile sul sito ufficiale.
Ne viene fuori l’immagine indiscutibilmente elitaria dello scrittore, del suo marcato gusto per l’estetica, nonché la completa dedizione alla letteratura.

Pamuk ha così offerto due tipi di fruibilità di una singola idea artistica, proponendo prospettive e accessibilità diverse: da una parte la lettura e dall’altra l’esperienza, quest’ultima, per ovvie ragioni, ristretta ai soli visitatori.

Il Museo di via Çukurcuma, sito nella zona degli antiquari di Istanbul, si aggiudica il riconoscimento dell’originalità, scostandosi sia dal concetto tradizionale dei grandi musei del mondo – luoghi celebratori della storia, delle grandi scoperte o delle personalità influenti – sia da altre forme di esposizioni pubbliche.

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Foto dal web.

Attraverso il racconto visivo di una storia (quasi) completamente fittizia ambientata fra gli anni settanta e ottanta, il museo pone come obiettivo centrale l’esaltazione dell’individualità e dell’unicità, ma nello stesso tempo i temi elaborati dalla narrazione e l’autenticità dei numerosi oggetti di vita comune esposti trascinano il visitatore nella quotidianità della classe sociale alta di istanbul con le abitudini, i vizi, i gusti e i costumi dei suoi rappresentanti.

Dall’altro lato un romanzo così impegnativo e corposo, composto da oltre settecento pagine che narrano una storia di oltre trent’anni, ha la responsabilità di intrattenere e motivare il lettore, fornire temi, argomenti e spunti. Il romanzo può essere letto su diversi livelli di interpretazione, offrendo una molteplicità di temi che a mio avviso giustifica del tutto la corposità del libro. Sarebbe interessante scrivere una specie di guida alla lettura, quanto meno per poter ragionare e approfondire i singoli temi, ma qui limito a presentare il romanzo a grandi linee.

In questo caso, per lasciarsi trascinare davvero dalle parole è necessario forse riuscire ad entrare nella contorta dimensione psicologica (e patologica) del personaggio principale, a cui il lettore vorrà di tanto in tanto sussurrare qualche parola all’orecchio.
Nonostante si tratti di un Premio Nobel, credo di avere un conflittuale rapporto lettore-autore; ahimè, tempo fa avevo lasciato incompleta la lettura di Istanbul, che avevo trovato eccessivamente dispersiva nei dettagli, e confesso di aver lasciato a metà il romanzo intitolato Neve per pura noia.

Eppure fin dalle primissime pagine de Il Museo dell’Innocenza sono stata contagiata da una delle forme di ossessione del protagonista, tanto da non riuscire quasi a mettere giù il libro durante il breve tempo in cui si è avidamente consumata la mia lettura.

Kemal ha trent’anni, un posto assicurato nell’azienda di esportazione del padre e vive nell’agio della società alto-borghese di Istanbul. Benché in questo contesto sociale l’amore sia legato alle convenzioni e abbia bisogno di consensi, Kemal ha la fortuna di avere un rapporto di complicità con la sua storica fidanzata, Sibel, una giovane donna che ha tutto dalla sua parte per far la prospettiva di un futuro felice: ricchezza, bellezza e intelligenza. Sotto l’approvazione delle rispettive famiglie, i due giovani si preparano al rito ufficiale del fidanzamento, preludio di un pomposo matrimonio, che porta il lettore direttamente nelle tradizioni delle famiglie turche benestanti.

Durante una passeggiata fra le strade del centro di Istanbul, Sibel si lascia scappare un commento di apprezzamento quando vede una borsa esposta nella vetrina di un negozio, a quanto pare una buona imitazione di un pregiato esemplare lusso. Tuttavia, la ragazza omette quest’ultimo dettaglio e, inconsapevolmente, getta il fidanzato fra le braccia dell’amante.

Intatti, il giorno dopo Kemal si presenta nel negozio in veste di un ipotetico buon cliente, con il piano di fare un regalo gradito alla sua fidanzata, e si ritrova inaspettatamente faccia a faccia con Füsun Keskin, una commessa diciottenne nonché sua lontana parente. I due giovani condividono qualche episodio di infanzia, ma le rispettive famiglie avevano allentato i contatti nel corso del tempo poiché le condizioni economiche modeste dei Keskin e il loro stile di vita, entrambi i coniugi erano lavoratori, mal si conciliavano con i parenti di alto rango.
Non si spiega il motivo per cui quasi immediatamente scatta la scintilla di passione che travolge i due giovani amanti e che si consuma, segretamente e in un lasso di tempo di tre mesi scarsi, fra le mura di un appartamento pieno zeppo di oggetti e di proprietà della famiglia di Kemal. Certo, Füsun  dev’essere di bella presenza, tanto da aver partecipato ad un concorso di bellezza e da aspirare alla carriera di attrice. Tuttavia, non è il suo aspetto fisico che ipnotizza il protagonista e di certo non può essere la sua personalità che egli del tutto ignora al momento dell’incontro. In verità, l’amore non è fra i temi principali del romanzo, semmai lo sfiora appena.

Lungi dall’essere una semplice infatuazione, la ragione dell’attrazione va evidentemente ricercata nell’inconscio e nei meandri del tempo, fra le poche memorie condivise d’infanzia, forse persino in qualche episodio traumatico che al momento non riesce a venire in superficie; l’attrazione sta nelle pulsioni del bisogno primordiale di ricongiungersi con l’unità, nell’aspirazione dell’infinito e della quiete. Al contrario di un amante ordinario, Kemal non è consumato dalla voglia di possedere Füsun , bensì desidera terribilmente di essere la sua amante, impadronirsi di ogni sua singola cellula, fondersi fino all’annullamento totale di entrambi.

Kemal incarna l’inetto letterario per eccellenza, fa sempre la cosa sbagliata nel momento meno opportuno, oppure non agisce e lascia che siano i fattori esterni a guidare la sua esistenza. Si fa persino lasciare da Sibel quando, nonostante gli sforzi di quest’ultima per salvare il possibile ed evitare lo scandalo, ci si rende conto della gravità della malattia di Kemal e passa in secondo piano persino il tradimento pre-matrimoniale.

Anche in questo caso Sibel si mostra più risoluta, caricando il fardello che la società impone ad una giovane donna nubile e non più illibata, e scompare dalla vita di Kemal portandogli via la speranza di una vita possibilmente felice. Nel medesimo istante anche l’oggetto del desiderio si dissolve nel nulla: Füsun  scompare senza lasciare tracce di sé e Kemal si lancia nella sua folle ricerca per le strade di Istanbul, allontanandosi pian piano dal suo ricco quartiere residenziale e trovando rifugio negli angusti vicoletti poveri della città.
La sua anima si desnuda per mostrarsi al lettore così com’è, senza vergogna, con i visibili segni di un’inquietudine profonda; Kemal sprofonda nell’apatia e si moltiplicano i suoi sospiri come quelli degli amanti cortigiani o romantici per un amore non ricambiato.

Prima ancora della metà del libro Füsun e Kemal si ritrovano inaspettatamente e molto più facilmente di quanto si sarebbe potuto immaginare, così il grande pathos accumulato fino a quel punto rallenta immediatamente la presa. Ma ecco che si aggrava la condizione patologica del protagonista .

Füsun nel frattempo si è sposata con un aspirante cinematografo fannullone e si tiene ben distante dal non ripetere gli errori del passato e ricadere nella passione. Nonostante tutto, Kemal comincia a frequentare la casa dei Keskin, non casualmente sita in via Çukurcuma, con una regolarità che diventa subito un rito ossessionante. Riesce ad instaurare persino una specie di rapporto lavorativo con lo sprovveduto marito, ma inaugura la salita verso la conquista della sua amata che durerà per oltre un decennio.

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Foto dal web.

In questi anni Kemal scopre anche un grande senso di conforto nella raccolta di oggetti di vario tipo, da quelli appartenuti a Füsun o appena sfiorati da questa, ma anche di quelli che lo aiutano a ricostruire una realtà che ha completamente smarrito tempo addietro.
Dalla casa dei Keskin spariscono di tanto in tanto degli oggetti sotto gli occhi coscienti ma falsamente ignari di coloro che fanno finta di non accorgersi neppure dell’anomala situazione che li coinvolge. L’appartamento che era stato la tana del brevissimo amore segreto si trasforma in una specie di museo sacro, accogliendo tutti gli oggetti e le reliquie che Kemal si procura.

Nonostante la moltitudine dei personaggi del romanzo, il lettore si rende presto conto di quanto l’egocentrismo patologico del protagonista e l’individualità esaltata di questo prevalgano al punto da offrire soltanto un’unica prospettiva, ovvero quella di Kemal. Con il susseguirsi degli eventi e mentre si entra nella contorta psiche del protagonista, i lettori si accorgono di quanto poco emergano gli altri personaggi. Non conosciamo i loro sentimenti – ad esempio non sappiamo se Füsun sia stata davvero consenziente dopo l’incontro nel negozio-,  non ne conosciamo le gioie e dolori, non capiremo le scelte e le azioni che i personaggi faranno nel corso della narrazione. C’è solo Kemal, sempre in primo piano, con il suo spudorato ed egoista egocentrismo, contagioso per il lettore fino a renderlo quasi dipendente da questo.

E poi c’è Istanbul con al sua storia, presente in ogni singola pagina, la vera protagonista silenziosa e imponente, di cui forse lo stesso Kemal è completamente assuefatto. Le sue strade cambiano più volte nome, le attività commerciali aprono e chiudono i battenti, i fischi delle navi del bosforo annunciano i ritorni e le partenza, ruggiscono i motori delle automobili dei benestanti. Voci, colori, profumi e vapori riempiono la città. I ricchi si godono la bella vita fra gli agi e i divertimenti che Istanbul offre, a volte persino perdendosi nelle frivolezze, mentre i poveri vivono e scivolano silenziosamente nei vicoli e nelle periferie e raramente fanno comparsa fra le pagine del libro.

Intanto gli eventi politici smuovono la terra sotto la città: nel 1980 il colpo di stato instaura un clima di tensione e la sicurezza del paese cammina sulla superficie sottile di una lama affilata. Il coprifuoco regola le nuove abitudini dei cittadini e i controlli a tappeto non fanno sconti a nessuno, e assistiamo alla scena in cui Kemal viene fermato da una pattuglia sul ritorno verso casa, accompagnato dal fidatissimo autista.

Quasi interamente narrato in prima persona, il narratore-protagonista comincia ogni capitolo come se stesse guidando il lettore all’interno di un vero museo, partendo di volta in volta dalla descrizione di un oggetto che gli permette di andare avanti con la narrazione: ecco come le due opere si incontrano nello stesso punto. Si ripercorre gli eventi, tutti passati, tramite l’aiuto di numerose digressioni e slittamenti temporali.

Come Goya nel ritratto della famiglia reale spagnola, o come Leonardo nella sua versione dell’ultima cena, anche Pamuk si “ritrae” nella sua opera, quasi per autocelebrarsi o per manifestare esplicitamente l’impegno totale che ad essa ha dedicato. Già in uno dei primi capitoli lo si vede seduto ad uno dei tavoli nella festa di fidanzamento di Kemal e Sibel,  occasione in cui scambia qualche parola con in protagonista, e ricompare alla fine del romanzo in veste di colui che riceve la storia direttamente dal protagonista e di cui ne diventa ufficiale portavoce.


8 responses to “Turchia- “Il Museo dell’Innocenza” di Orhan Pamuk”

  1. Mi ha colpita il fatto che ogni capitolo decolli con la descrizione di un oggetto… Non ho mai letto Pamuk, ma se dovessi decidermi credo che inizierò proprio da questo libro, oltretutto mi intriga la passione che sta alla base della storia e che tu sei riuscita a descrivere così bene, tanto da farcene sentire quasi i palpiti. Molto coinvolgente l’analisi, ti ho letta tutta d’un fiato.

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    • Grazie, Alessandra! Credo che possa piacerti, conoscendo un po’ le tue letture dal blog. Io all’inizio ero scettica ma poi mi ha travolto completamente e si è aggiudicato il titolo di libro speciale. Ne vengono fuori infiniti temi, ci si potrebbe parlare per giorni interi :)! un abbraccio

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  2. mai letto niente di pamuk ma n700 pagine mi spaventano. Per temermi incollato alla letture deve essere veramente speciale.
    Complimwenti per la recensione. Davvero ottima ed esauriente

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    • Grazie per le tue parole. Anche io tendo ad essere sospettosa nei confronti dei romanzi troppo voluminosi, la maggior parte delle volte mi viene da pensare che l’autore si sia concentrato sull’obiettivo di scrivere un libro grande anziché un “grande libro”! Questo libro è stato una scelta del book club che frequento e all’inizio avevo storto un po’ il naso. Se si riesce ad entrare nella trama, è da considerarsi un capolavoro.
      Un caro saluto

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      • Capita ma ho avuto due esperienze negative: Faber e il petalo cremisi e il bianco -980 pagine) e Donna Tartt e Il cardellino (900 pagine).. Ci ho messo mesi per leggerli ma è stato uno strazio

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