“Gesù Beveva Birra” di Afonso Cruz

Ci sono tanti modi di credere, di vivere la propria fisicità e spiritualità, di immaginare l’infinito oltre le ristrettezze del corpo, di esorcizzare la morte e trascendere dalla vita; esistono diversi modi di percepire, ricercare, conoscere e meditare. Gran parte di questi aspetti e questioni sono presenti in Gesù Beveva Birra (La Nuova Frontiera, 2014), un libro di Afonso Cruz dove il binomio vita e morte lega personaggi ed eventi.

Non si pensi che la morte avvenga con la sepoltura, piuttosto essa si manifesta costantemente: i denti cadono, le ginocchia si decalcificano, la pelle si avvizzisce, gli amici vanno via. Tutto questo è morte. Il momento finale non è altro che un momento.

In primissimo piano c’è Rosa, il personaggio femminile protagonista che ho ho imparato gradatamente ad apprezzare e che, poi, ho amato profondamente per le sue contraddizioni, per i suoi contorni spigolosi, per l’egoismo con cui si impossessa della scena centrale, detentrice di una forza generatrice e distruttrice. Attorno a lei prendono forma una miriade di personaggi complessi, il cui passato pesa sulle spalle, influenza il presente nonché il loro rapportarsi al mondo e agli altri. Le vite di questi personaggi,  pur molto diversi fra loro e portavoce di distinti modelli di pensiero, si incrociano in uno spazio così stretto come quello di un villaggio interno dell’Alentejo, regione povera del Portogallo.

Ostile come il territorio regionale, dura come i sassolini che succhia come caramelle, provocandosi un certo dolore e che, secondo me, associa al ricordo della madre archeologa perché quest’ultima nella roccia studiava il passato.

Rosa ha l’abitudine di succhiare dei sassolini come se fossero caramelle. Sono i sassolini che ha raccolto nei posti in cui ha vissuto gioie e dolori, momenti che non vuole dimenticare.

Di personaggi di spicco ne compaiono alcuni molto interessanti, come ad esempio la Signora Whittemore, una specie di hippie già in avanti con l’età che rappresenta il potere economico, in quanto domina il villaggio dall’alto della sua ampia dimora circondata da mura intonacate di bianco e vanta diverse proprietà sparse sul territorio. Ama circondarsi di oggetti e di persone che rappresentano diversi pensieri e teorie, è una specie di collezionista da museo. I frequentatori della sua casa sono peculiari nella loro individualità: il Padre cattolico, rappresentante del monoteismo cristiano, il Professor Borja è uno scienziato senza fama e ardente sostenitore delle scienze pure, a cui si affiancano uno stregone yoruba e un monaco induista, detentori di spiritualità mistica e ascetismo.

Rosa, in primo luogo e nonostante la sua giovane età, ha già una storia di dolore e sofferenza causati da un susseguirsi di eventi e sventure familiari. Gli stenti economici, l’abbandono della madre, la morte del padre e la profusa mancanza di affetto sono alcuni degli elementi che spiegano la fragilità interiore di Rosa, ma anche il solido legame con la sua anziana nonna, Antónia, ormai giunta ad una condizione di ridotta mobilità e che alterna momenti di impeccabile lucidità con altri di incosciente assenza.

Rosa è anche una lettrice accanita, benché quasi priva di un’educazione formale, e fa sovente riferimento ad alcune citazioni di un libro che le stanno particolarmente a cuore. In realtà, il riferimento letterario è un racconto scritto dallo stesso autore ma che viene attribuito ad uno scrittore fittizio a beneficio dell’invenzione romanzesca:

Muoio per amore, senza questo non vale la pena vivere. La mia vita è fatta per insinuarsi dentro la tua, come una lama conficcata nel cuore.

Due uomini dalla personalità e dalla presenza fisica diametralmente opposte sono attratti carnalmente da Rosa, ma nessuno dei due sembra realmente nutrire un amore puro e rispettoso nei confronti della giovane,  riversando piuttosto su di lei un principio di dominazione e superiorità personale. Il primo, Ari, è un pastore alquanto rozzo e irruente, inadatto a coltivare la relazione con la ragazza in modo sano, ma capace di un’esagerata e furibonda gelosia. Il secondo è il Professore, la cui differenza sproporzionata d’età lo mantiene a decenni di distanza, che vede nella giovane Rosa una base di stabilità e immagina un ipotetico figlio come la necessaria sopravvivenza del proprio DNA.

Quando Rosa confida al Professor Borja il desiderio di portare sua nonna nella lontana Gerusalemme, al fine di realizzare l’unico grande sogno dell’anziana donna a cui è tanto affezionata, quest’ultimo le propone di mettere su un piano ingegnoso e quasi surreale: se Maometto non va alla famosa montagna, sarà proprio quest’ultima a raggiungere il profeta.

Così comincia una trama dell’assurdo e dell’imbroglio con una comicità a tratti nera, in cui Antónia si prepara per il viaggio della sua vita a Gerusalemme, viene portata in carrozzina presso un locale di giovani spogliarelliste, improbabile simulazione di un aereo e, non prima di essere stata addormentata con dei potenti sonniferi, si ritrova ospite nella grande dimora della signora Whittemore, riadattata a Terra Santa e sovrapposta al villaggio portoghese.

In realtà l’unica vera cosciente di questo falso viaggio nello spazio e nel pensiero è proprio l’ultraottantenne Antónia, mentre per tutti gli altri è un’occasione per portare a termine le proprie folle azioni, fintanto che la vicenda prende una piega inaspettata e drammatica. Nel frattempo si rafforza e acquista vigore il personaggio di Rosa, la morte e la vita le si fondono dentro, e spetterà proprio a lei dare risposta ad alcune delle domande esistenziali che hanno gravitato durante tutta la narrazione.

Dietro il titolo, ironico e forse provocatorio, c’è una teoria che viene dispiegata pagina dopo pagina. È il Professore che lo dice per la prima volta: Gesù beveva birra, ovvero la bevanda dei poveri, delle puttane e dei peccatori, il simbolo del popolo.

In verità, miei cari, il grano non darà frutti senza prima cadere al suolo e poi morire. La birra è la resurrezione del grano, ovvero la sua nuova vita. È necessaria la morte prima di tutto, ed è da qui che nasce la birra. Il grano appassisce e si trasforma in malto; questo, a sua volta, diventerà alcol o spirito, come lo chiamavano gli antichi.

Scritto con una acuta ironia, di Afonso Cruz mi ha colpito l’originalità, la capacità di fornire idee e concetti che fanno pensare, l’acuta ironia che fa sorridere nel mezzo della drammaticità degli eventi, la carnalità dei suoi viziosi personaggi meravigliosamente imperfetti. Anche questo libro, così come il primo che ho letto dello stesso autore (non tradotto in italiano, ma eccone un estratto), si articola in capitoli brevi, facili da leggere e che fanno scorrere una narrazione arricchita da similitudini, metafore e comparazioni.

Sull’autore

Afonso Cruz è uno scrittore, illustratore, realizzatore di film d’animazione e musicista portoghese nato nel 1971 a Figueira da Foz. Ha studiato presso l’Accademia delle Belle Arti di Lisbona, vive in Alentejo e sul suo profilo Instagram condivide gli scorci di ciò che lo circonda.

Ha ottenuto la sua popolarità attraverso numerosi riconoscimenti artistici e collaborazioni con note testate portoghesi. È autore di oltre trenta opere fra romanzi, racconti, poesia, teatro, saggistica, e ne ha illustrati molti altri.

Tradotto in altre lingue, al momento non ha raggiunto una spiccata popolarità fuori dal suo paese ma sono disponibili traduzioni italiane di alcuni libri, oltre a quello qui presentato, fra cui I libri che Divorarono Mio Padre (Officina Libraria 2017) e La bambola di Kokoschka (La Nuova Frontiera, Roma, 2016).

vinho

Post Scriptum

Ha accompagnato non la scrittura bensì la revisione di questo post la musica dei Khruangbin.

3 responses to ““Gesù Beveva Birra” di Afonso Cruz”

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