“Malgrado Tutto” di Julián Fuks, o “Resistenze”

Esto no es una historia. Esto es historia.

Una condivisione di lettura perfettamente in tema con la data odierna, 25 aprile, ma adatta a qualsiasi momento dell’anno: A resistência, di Julián Fuks, un libro del 2015 che ha vinto il premio Jabuti, tradotto in italiano da Giacomo Falconi con il titolo Malgrado Tutto (Quarup, 2019). Julián Fuks è nato nel 1981 a São Paolo, in Brasile, dove tutt’ora risiede.

Io avrei tradotto il titolo in modo diverso, scostandolo appena un attimo dall’originale per evitare false assonanze: ResistenzeSono cosciente che “la Resistenza” per un italiano abbia un’altra valenza, ma un titolo così incisivo non l’avrei negoziato con una parola diversa.

Eccone l’incipit, che offre un gradevole intreccio sia fonetico che semantico, fra affermazioni e negazioni:

Mio fratello è adottato, ma non posso e non voglio dire che mio fratello è un figlio adottato. Se dicessi così, se pronunciassi questa frase che per molto tempo ho fatto attenzione a non pronunciare, ridurrei mio fratello ad uno stereotipo, ad un singolo attributo essenziale. Mio fratello è qualcosa, e questo qualcosa è ciò che in tanti cercano di scorgere in lui. Questo qualcosa sono i segni che insistiamo a ricercare controvoglia nei suoi tratti, nei suoi gesti e nei suoi atti. Mio fratello è adottato ma io non voglio ingigantire lo stigma che questa parola evoca, lo stigma che è la parola stessa concretizzata in lettere. Non voglio approfondire la sua ferita e, se non voglio approfondirla, non posso nemmeno nominarla.

Tuttavia, al contrario di quello che l’inizio possa suggerire al lettore, il tema centrale del libro non è l’adozione, fornendo questo giusto il l’appiglio perfetto per introdurre gli argomenti principali: la memoria, l’esilio, l’identità, la storia le resistenze. Quest’ultima parola l’ho voluta scrivere appositamente al plurale, perché la resistenza dogmatica e politica a cui il titolo fa riferimento è soltanto una delle molteplici resistenze di cui realmente di intende parlare, una resistenza che si declina in  infiniti modi: quella della memoria familiare e dei silenzi della memoria stessa, quella del figlio adottivo nel contesto di convivenza, la resistenza che tende la corda fra bambini e adulti, ma anche quella delle parole dell’autore che con difficoltà racconta e si racconta.

Lo si evince fin dall’inizio il linguaggio intimo che implica dei compromessi etici nei confronti della sua famiglia e del rispetto di ogni singolo individuo che ne fa parte, che mischia la realtà con la finzione e la fabulazione, in modo da rendere questo libro un romanzo vero e proprio e non un’autobiografia.

Man mano che la scrittura procede, Fauks si allontana dalle persone e dai fatti reali che ha deciso di trattare, tanto che i personaggi diventano sempre più immaginari. 

Nella parte reale c’è un capitolo di storia che tocco in questo contesto giusto per contestualizzare, perché credo che i lettori di questo libro avranno il bisogno di fare alcune ricerche per rispondere a certe domande inevitabili.

Il primo luglio 1974 muore Juan Domingo Peron, presidente di grande popolarità, un anno dopo il suo ritorno al potere alla Casa Rosada e nel mezzo di agitazioni violente all’interno del Paese. Sua moglie Isabel, rimasta vedova, si ritrova a capo di un governo “istituzionalmente democratico” in cui l’organizzazione paramilitare Alianza Anticomunista Argentina (o Tripla A), capeggiato da Lopez Rega, isola gli attivisti di sinistra attraverso attentati, al fine di ristabilire l’ordine. Cominciano una serie di restrizioni di controllo e repressione con il pretesto di ristabilire l’ordine pubblico. Il 24 marzo 1976 la Isabel Peron viene destituita con un colpo di stato e al potere sale immediatamente la Junta, capitanata da tre esponenti delle forze militari argentine, fra cui Jorge Rafael Videla, precedente Ministro degli Interni. Dal 1976 al 1979 si svolge la Guerra Sporca (o Sucia), ovvero un programma di repressione violenta, privo di controlli e procedure legali, per eliminare qualsiasi gruppo sovversivo, nonché peronisti attivi e guerriglieri marxisti: sequestro delle vittime, deportazione al Centro Clandestino di Detenzione, pratiche di tortura e uccisioni non dichiarate con conseguente occultazioni dei cadaveri. La dittatura militare argentina si conclude ufficialmente solo nel 1983.

Ritornando al romanzo, i primi protagonisti della storia familiare sono due giovani coniugi, entrambi psichiatri, attivi nella lotta politica contro la dittatura e in cerca di un figlio che inspiegabilmente non si concretizza:

Avere un figlio deve essere, sempre, un atto di resistenza. Forse l’affermazione della continuità dell’esistenza era uno degli imperativi etici da seguire, una maniera per opporsi alla brutalità del mondo. Tuttavia, anche questo tipo opposizione non sembrava avere successo e ad essa si affiancò il dolore  acuto della sconfitta, delle molteplici sconfitte, con la materia di tanti dolori che a poco a poco si trasformarono in un lutto. 

Finalmente adottano un neonato, la cui origine è incerta e che non può essere loro rivelata per motivi nascosti, ma che implicitamente fa parte di quel grandissimo numero di figli nati in prigione dai detenuti sovvertisti, oppure sequestrati a migliaia di desaparecidos, dalle identità accuratamente occultate e dimenticate. 

Comprendendo perfettamente il livello di pericolo, scappano da Bunos Aires quando il bimbo ha appena sei mesi di vita, arrivano in Brasile e ricostruiscono pian piano il proprio nucleo familiare a cui danno un grande valore. Intanto la sterilità sembra non averli seguiti nella nuova terra e si aggiungono altri due figli alla famiglia, uno dei quali sarà proprio lo scrittore di questo racconto.

A questo punto si comprende come l’adozione, così tanto declamata nell’incipit, ha – in questo specifico contesto storico- un valore estremamente importante di tipo sociale, e si intende anche la posizione di resistenza che il fratello impugna nei confronti della famiglia. Attraverso la storia dell’adozione, dell’esilio dei genitori e dello stretto rapporto fra Argentina-Brasile, il narratore cerca di definire la propria identità e di trovare risposta ad un dibattito interno ma anche storico-politico. “È possibile ereditare l’esilio?”, è una delle domande che si ritrova a fronteggiare. La letteratura ha un ruolo fondamentale, cerca di funzionare da ponte fra la storia ufficiale e le lacune di quest’ultima, che sprofondano in un pozzo senza fondo.

Di recente, proprio dopo aver letto La Resistenza, mi sono ritrovata a sfogliare una pubblicazione del 1999 a cura dell’organizzazione non-governativa Abuelas de Plaza de Mayo (letteralmente, le Nonne della Piazza di Maggio), nata nel 1977 al fine di ritrovare i figli dei desaparecidos argentini con la speranza di ricostruire le famiglie distrutte dalla spietata dittatura militare. In realtà l’organizzazione ha acquistato via via un ruolo maggiormente politico, ma ha compiuto dei passi importanti sul recupero della memoria storica e dell’identità; nel 1987 ha persino aperto un centro di dati genetici per accogliere l’iscrizione di ipotetici figli di desaparecidos. La pubblicazione di apre con un prologo che afferma:

Este libro es la condensacion de nuestra historia, de nuestra incansable busqueda y del acrecentado sufrimiento que nos ocasionaros los dicatores, sus complices y colaboradores al arrancarnos los hijos y nietos.

Ho preferito qui toccare gli aspetti storici del libro, per non rovinare la sorpresa delle pagine del romanzo ai lettori.


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