Conceição Evaristo, appunti di vita

Maria da Conceição Evaristo de Brito è l’esempio di una donna di grande forza cultuale, attivismo e determinazione, che ha saputo cogliere le occasioni della vita per riuscire ad alterare completamente le carte in tavola, quelle che il destino sembrava averle predisposto. Nasce nel 1946 in una favela chiamata Pendura a Saia, della città di Belo Horizonte nello stato di Minas Gerais, confinante con un quartiere della classe media, cosa che le insegna fin da subito l’idea del contrasto ricco-povero. Fa parte di una numerosa famiglia profondamente religiosa e povera, ma che sostiene da sempre l’importanza della scolarizzazione dei bambini, nonostante le pressanti necessità di sostentamento. Conceição Evaristo comincia fin dall’infanzia a fare dei lavoretti per pochi soldi, diventa prestissimo ben presto domestica e baby sitter, ma rispetto agli altri figli, ben nove, è agevolata dalla scelta della madre di mandarla a vivere a casa di sua sorella e di suo cognato. Questi ultimi, non avendo figli e con meno stenti economici, avrebbero certamente potuto garantire l’educazione di quella bambina di soli sette anni, già ben disposta allo studio. 

Per lei la scuola è una profonda esperienza traumatica e la presa di coscienza della condizione di segregazione sociale basata sulla questione di inferiorità razziale ed economica. Si tratta di una costruzione su due piani, visibilmente distinguibili persino agli occhi di un bambino: su un piano ci sono gli studenti bianchi, tutti provenienti dalla classe media, incoraggiati allo studio e alla partecipazione di competizioni che premiano il loro buon operato; sull’altro piano ci sono quelli simili a lei e ai suoi familiari, poveri e con la pelle dalle più svariate tonalità scure, a cui viene riservato un tipo di insegnamento essenziale e privo di slanci. 

Tuttavia, Conceição Evaristo si distingue fin da subito come una studentessa inquieta, intelligentemente rumorosa, una di quelle che rivolge domande agli adulti ed agli insegnanti fino allo sfinimento; si presenta persino agli eventi scolastici in qualità di non-invitata, con la rivoluzionaria determinazione di raggiungere il piano dei privilegiati. La costanza viene premiata con un riconoscimento studentesco al termine della scuola primaria (1958), per merito di aver scritto un articolo dal titolo significativo, soprattutto perché scritto di suo pugno: “Perché sono orgogliosa di essere brasiliana”.

Per un certo tempo va a vivere da loro uno zio di ritorno dall’Europa e che aveva combattuto in Italia come soldato arruolato durante la seconda guerra mondiale. Avendo avuto modo di guardare a lungo il suo paese dall’esterno e per aver riflettuto sulle dinamiche delle politiche internazionali e locali, egli era della posizione che la società brasiliana fosse razzista fino alle viscere, tanto da basare su questo principio l’intero sistema politico ed economico, e fino ad incidere sulla vita dei singoli individui. Mentre approfitta del suo ritorno per sviluppare le sue doti di artista, impartisce a sua nipote alcune delle prime ed autentiche lezioni di negritude (ovvero negritudine) brasiliana.

La giovane Conceição Evaristo si impegna attivamente nel movimento giovanile JOC (Juventude Operária Católica), che incoraggia ed apre il dibattito etnico e l’abbattimento delle barriere sociali su basi puramente discriminatorie. Inoltre, insegue il suo obiettivo di diventare insegnante, un vero e proprio sogno nel cassetto che aveva custodito fin dall’infanzia, e nel 1973 si trasferisce a Rio de Janeiro per iniziare il suo primo ufficiale impiego in una scuola primaria.

Seguire la vita di Conceição Evaristo significa affannarsi nella ricerca, battersi contro pregiudizi, rompere costantemente delle barriere fino a mostrare un grande profilo culturale che non può essere ignorato né negato. Si laurea in letteratura brasiliana nel 1996 e completa il dottorato in letterature comparate, intanto coltiva l’arte della scrittura per raccontare e imprimere le storie che hanno popolato la sua vita da sempre: storie di donne nere, racconti di discriminazioni, vestigia di schiavitù e colonialismo. Il debutto letterario del 1990 è parecchio tardivo rispetto alla sua scrittura, le occorre evidentemente del tempo per trovare un editore ed arrivare ai lettori, ma comincia significativamente con poesie e racconti raccolti nei Quadernos Negros, seguiti dal romanzo Becos da Memória del 2006, scritto più di un decennio prima. La raccolta di storie brevi, Olhos d’Água, riceve finalmente il premio Jabuti.

È un peccato che le sue opere non siano ancora state tradotte in italiano, almeno da quanto ho potuto constatare, perché sarebbe un’interessante proposta e fornirebbe una prospettiva culturale marcante. Oltre alla sua figura così stimolante, dimostrazione di come sia possibile cambiare lo stato delle cose grazie a degli spunti e degli input esterni, ho apprezzato la scrittura di Conceição Evaristo per la delicatezza e nel contempo la brutalità nell’affrontare certi temi e discorsi.

Conceição Evaristo affonda le sue radici come scrittrice nella tradizione orale di famiglia, nelle storie raccontate, per poi trovare grande ispirazione nella vita di strada, dalle favelas alle grandi città metropolitane. Inoltre, le donne della sua famiglia lavoravano presso scrittori importanti e deve aver assorbito qualsiasi influenza esterna per dirigere la sua scrittura nella direzione per lei più adatta. In una conversazione del 2009, Conceição Evaristo parla delle sue origini (lascio il testo in originale seguito dalla traduzione):

Gosto, entretanto, de enfatizar, não nasci rodeada de livros, do tempo/espaço aprendi desde criança a colher palavras. A nossa casa vazia de bens materiais era habitada por palavras. Mamãe contava, minha tia contava, meu tio velhinho contava, os vizinhos e amigos contavam. Tudo era narrado, tudo era motivo de prosa-poesia, afirmo sempre. Entretanto, ainda asseguro que o mundo da leitura, o da palavra escrita, também me foi apresentado no interior de minha família que, embora constituída por pessoas em sua maioria apenas semi-alfabetizadas, todas eram seduzidas pela leitura e pela escrita. Tínhamos sempre em casa livros velhos, revistas, jornais. Lembro-me de nossos serões de leitura. Minha mãe ou minha tia a folhear conosco o material impresso e a traduzir as mensagens. E eu, na medida em que crescia e ganhava a competência da leitura, invertia os papeis, passei a ler para todos. Ali pelos meus onze anos, ganhei uma biblioteca inteira, a pública, quando uma das minhas tias se tornou servente daquela casa-tesouro, na Praça da Liberdade. Fiz dali a minha morada, o lugar onde eu buscava respostas para tudo. Escrevíamos também, bilhetes, anotações familiares, orações…

Ci tengo a sottolineare che non sono nata circondata da libri, ma dal tempo/spazio ho imparato a raccogliere le parole fin da bambina. Casa nostra, sprovvista di beni materiali, era abitata dalle parole. Mia madre raccontava storie, mia zia pure, la stessa cosa faceva lo zio più anziano, persino i vicini e gli amici avevano qualcosa da raccontare. Tutto veniva narrato e, come dico sempre, tutto costituiva materiale per diventare prosa o poesia. Tuttavia, posso affermare con certezza che anche il mio primo incontro con il mondo della lettura, o della parola scritta, è avvenuto all’interno della mia famiglia, composta da persone per la maggior parte semi-alfabetizzate, ma che si sono sempre lasciate sedurre dalla lettura e dalla scrittura. In casa avevamo sempre dei vecchi libri, riviste e giornali. Ricordo le nostra lunghe nottate di lettura, con mia madre o mia zia che sfogliavano insieme a noi tutte quelle pagine stampate e ne decodificavano i messaggi. Mentre crescevo, miglioravo le mie capacità di lettura finché non invertii i ruoli, così cominciai ad essere io quella che leggeva per tutti gli altri. A circa undici anni mi accaparrai una biblioteca intera, ovvero quella pubblica, poiché una delle mie zie ebbe un lavoro da inserviente in quella casa preziosissima di Piazza Libertà. Diventò il mio posto fisso, dove trovavo risposte a tutto. Inoltre, avevamo anche l’abitudine di scrivere biglietti, appunti di famiglia e preghiere… 

Alla fine, attraverso le sue memorie di infanzia possiamo comprendere la sua sensibilità:

Escrevo. Deponho. Um depoimento em que as imagens se confundem, um eu-agora a puxar um eu-menina pelas ruas de Belo Horizonte. E como a escrita e o viver se con(fundem), sigo eu nessa escrevivência a lembrar de algo que escrevi recentemente:

“O olho do sol batia sobre as roupas estendidas no varal e mamãe sorria feliz. Gotículas de água aspergindo a minha vida-menina balançavam ao vento. Pequenas lágrimas dos lençóis. Pedrinhas azuis, pedaços de anil, fiapos de nuvens solitárias caídas do céu eram encontradas ao redor das bacias e tinas das lavagens de roupa. Tudo me causava uma comoção maior. A poesia me visitava e eu nem sabia…”

Scrivo. Butto giù. Nella mia scrittura le immagini si confondono, c’è una me-attuale che accompagna una me-bambina per le strade di Belo Horizonte. E mente la scrittura e la vita si con(fondono), continuo a scrivivere e mi viene in mente un passaggio che ho scritto recentemente:

“L’occhio del sole batteva sui panni stesi nel cortile e la mamma sorrideva felice. Goccioline d’acqua che cospargevano la mia vita da bambina ondeggiano al vento. Piccole lacrime di lenzuoli. Pietruzze azzurre, pezzetti di indaco, filamenti di nuvole solitarie cadute dal cielo si incontravano, fra le bacinelle e le tinozze del bucato. Tutto questo mi dava un’immensa commozione. Era la poesia che veniva a farmi visita, solo che io ancora non lo sapevo…”

Ho estrapolato un racconto di Natale dalla raccolta di storie brevi prima menzionata, Olhos d’Água, perché quasi ogni anno, per l’occasione, mi piace proporre su questo blog un modo diverso di vedere e vivere le cose, ma per ora lo tengo in serbo per il giorno esatto.

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