Voci dell’alterità dall’Afghanistan: Nadia Anjuman, la poetessa di Herat

Premessa
Nascere donna in Afghanistan, in alcuni casi, può rappresentare un grande problema. Tuttavia, non si può dire che tutti gli uomini abbiano una vita facile nel Paese. Mi è capitato, tempo fa, di ritrovarmi in un gruppo di persone a scambiare qualche parola con un giovane afghano residente in Europa. Quando gli si chiese se avesse nostalgia della sua terra tanto lontana egli rispose: “Sì, lo so, per voi è solo un Paese pieno di proiettili e mine vaganti”, quasi anticipando una condivisa visione generale dei suoi interlocutori, ” ma per me è il mio Paese! Sì, mi manca… a volte!”. Nonostante ciò, non aveva intenzione di ritornarci, almeno non per un futuro prossimo, per una questione di sicurezza.
Questo recupero di voci dell’alterità dall’Afghanistan non vuole essere né un modo per eludere dalla realtà degli eventi contemporanei, né un modo per ricavarne delle generalizzazzioni o degli stereotipi relativi ad un luogo o ad una cultura specifica. Questo minuscolo squarcio tenta di recuperare di un po’ di umanità in un spazio virtuale e ideale.

Nadia Anjuman Poet Picture PortraitNadia Anjuman (Dicembre 1980 – Novembre 2005) è stata una poetessa afghana dalla breve esistenza, il decesso avvenne non molto tempo dopo il suo matrimonio e appena 6 mesi dopo aver dato alla luce una bambina. Le circostanze della sua morte prematura non sono mai state del tutto chiarite, anche perché all’epoca della disgrazia non fu fatta nessuna autopsia sul cadavere. Nonostante alcuni fallimentari tentativi da parte di alcuni individui per far risultare la sua morte un caso di suicidio, è certo che Nadia  morì dopo una furibonda lite col marito e dopo aver subito una dichiarata violenza fisica da parte di quest’ultimo, in seguito alla quale l’uomo fu incarcerato, anche se per poco tempo, in quanto ritenuto il principale (ed unico) sospettato.

Vissuta durante i recenti tumulti del suo paese, Nadia provò sulla sua pelle le conseguenze delle riforme statali messe in atto dal governo del Talebani a partire dal 1995 che, fra le altre riforme e i vari interventi sul territorio, vietò alle donne l’accesso alle scuole statali. Dunque, Nadia si trovò a dover fare i conti con la sua passione letteraria da un lato, sua compagna sin dall’epoca della sua infanzia, e dall’altro lato la difficoltà di essere donna e poter studiare. Si unì al circolo di donne intellettuali guidate da  Muhammad Ali Rahyab, professoressa universitaria di Herat.
Fra le varie difficoltà e le mille ostilità incontrate, Nadia riuscì comunque a laurearsi con ottimi risultati in letteratura e a pubblicare un libro di raccolta di poesie, Gul-e-dodi (Fiore Rosso Scarlatto) in lingua farsi. Tuttavia, la produzione letteraria che ci resta di questa giovane donna risulta scarna, e non solo a causa dalla sua esistenza troppo fugace. Infatti, l’ambiente circostante, le dinamiche culturali, gli avvenimenti e le condizioni di vita influenzano e decidono il corso della produzione e della fruizione letteraria e artistica; persino il paese in cui si nasce, può determinare le scelte, le possibilità e le direzioni da prendere.
Per Nadia la scrittura è stata ostacolata e ardua, ma è riuscita a praticarla ed a lasciarci qualcosa: questo è stato il suo vero trionfo.
In Italia è stato pubblicato un libretto, Elegia per Nadia Anjuman, che raccoglie alcune delle sue poesie e qualche frammento scritto di un’autobiografia.

Per quanto si possa ignorarla e ritenerla un’attività futile, per Nadia la poesia ha rappresentato sicuramente l’unico luogo possibile per poter parlare, per vivere ed essere sé stessa e, credo, dev’sserle stata di conforto per calmare la sofferenza e la sopportazione di quell’oppressione esercitata dai tiranni a cui fa riferimento nel seguente componimento.

Poesia

Non ho voglia di aprir bocca
Per cantar cosa, poi…?
Io, disprezzata dalla vita stessa.
Cantare e non cantare? Non c’é differenza.
Perché dovrei parlare di dolcezzza
Quando provo solo amarezza?
Oh, il diletto dei tiranni
Ha colpito la mia bocca
Se non ho un compagno nella mia vita
A chi dovrei dedicare il mio affetto?
Non c’è differenza fra parlare, ridere,
Morire, esistere.
Io e la mia solitudine forzata.
Insieme al dispiacere e alla tristezza.
Sono nata per il nulla.
Le mie labbra dovrebbero essere sigillate.
Oh, cuore mio, lo senti che è primavera
Ed è tempo di festa.
Cosa posso fare con un’ala intrappolata
Che mi impedisce di volare?
Sono stata zitta per troppo tempo,
Ma non ho dimenticato la melodia,
Poiché continuo a bisbigliare
Le canzoni nel profondo mio cuore,
Per ricordare a me stessa
Che un giorno distruggerò questa gabbia,
E volerò via dalla solitudine
E canterò, con la mia malinconia.
Io non sono come un debole pioppo
Che si piega al vento.
Io sono una donna afghana,
E questo é il mio lamento.


7 responses to “Voci dell’alterità dall’Afghanistan: Nadia Anjuman, la poetessa di Herat”

  1. Una poesia piena di amarezza dove vivere e morire sembra la stessa faccia di una moneta.
    Essere donna nel mondo dell’Islam è veramente dura. E questa sfortunata ragazza lo dimostra.

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