Storie, identità, voci e colori per Chimamanda Ngozi Adichie: non siamo tutti uguali

«If you followed the media you’d think that everybody in Africa was starving to death, and that’s not the case; so it’s important to engage with the other Africa.»

«Da quello che dicono i media si è indotti a pensare che tutti gli africani stiano morendo di fame, tuttavia non è così; è importante confrontarsi anche con l’altra faccia dell’Africa.»

Lungi dal negare i problemi dell’Africa contemporanea, in questa affermazione Chimamanda Ngozi Adichie intende invitare il lettore ad andare oltre le generalizzazioni, gli stereotipi, le informazioni che circolano attraverso i media, poiché tutto ciò non è sufficiente per conoscere le molteplici verità e le molteplici storie di un Mondo tanto diverso e disomogeneo: dove c’è la fame c’è anche chi lotta contro di essa o chi non ha bisogno di farlo, dove c’è la guerra c’è anche chi fa la pace, dove c’è la censura c’è anche chi parla utilizzando tutti i mezzi a disposizione, e così via. È fondamentale non cadere nella trappola della Single Story (un’unica storia, un’unica verità) per non essere prede del potere.

Uno dei motivi per cui ho cominciato ad interessarmi alla letteratura dei paesi con un passato storico coloniale è stato il loro esser state tradizionalmente collocate al di fuori del canale dominante di comunicazione e di informazione. Spesso la fruizione delle letterature post-coloniali è più difficile, poiché non vi è sempre facile accesso. Poi, questo interesse è sfociato in una specie di ossessione, ma nel senso buono del termine, e in un bisogno di ricercare. Qualche mese fa ho ripreso in mano un libro che avevo comprato sicuramente al prezzo di una sterlina o poco più in uno di quei charity shop inglesi circa dieci anni fa (almeno così sembra, poiché 2005 è la data ancora visibile su uno scontrino sbiadito conservato fra le pagine), si tratta di un romanzo di Valerie Belgrave che ricordo avermi attirata sia per la copertina particolarmente colorata, sia per una semplice scritta presente sotto il tirolo: Caribbean Literature. Ricordo allora di essermi posta una domanda: quali sono gli scrittori caraibici che attualmente (all’epoca, si intende) conosco o di cui ho quanto meno sentito parlare? La mia risposta fu secca e decisa: nessuno. Non è mia intenzione qui rivolgere una critica alle scuole, alle università e al sistema educativo in generale e a quello che viene filtrato e selezionato attraverso di loro, piuttosto mi interessa sottolineare come spesso ci si permetta di parlare in modo non adeguato di “altri” (che siano persone, culture, etnie, paesi, ecc.), lasciandosi trasportare dalla corrente del sentito dire e delle informazioni dominanti. Credo non ci sia nessuno scrittore che, quando scrive a proposito di luoghi (che sia il suo paese o quello di passaggio o di migrazione), possa essere in grado di raccontarne la totalità e la verità assoluta. La percezione del luogo dipende da fattori soggettivi, dal carattere dell’individuo e dalle sue esperienze, dalla posizione nel tessuto sociale, dal gruppo di appartenenza e da altro ancora.

chimamandaChimamanda Ngozi Adichie, in qualità di scrittrice, offre la possibilità di entrare in contatto con una delle giovani voci femminili di oggi, il cui punto di partenza è la casa (in questo caso, si tratta della sua Nigeria), e che si srotola in vari luoghi attraverso il viaggio.

Nata il 15 settembre del 1977 a Enugu, in Nigeria, è la quintogenita di una numerosa famiglia Igbo-cristiana composta da madre, padre e sei figli. Passa l’infanzia e l’adolescenza nella città di Nsukka, dove frequenta anche l’università. Comincia a studiare medicina ma, in un secondo momento, decide di cambiare direzione e a 19 anni ottiene una borsa di studio per frequentare la facoltà di Scienze della Comunicazione presso la Drexel University di Philadelphia. Rimane negli USA per un alcuni anni, spostandosi in varie città e si trasferisce nel Connecticut per proseguire i suoi studi presso la Eastern University e, successivamente, frequenta un corso di scrittura creativa presso l’Università  Johns Hopkins a Baltimore. Chimamanda non è una di quelle scrittrici estremamente prolifiche che allettano i fedeli lettori con la pubblicazione di almeno un libro l’anno (anzi, la scrittura di alcuni dei suoi romanzi ha talvolta richiesto anche più anni di seguito); tuttavia, è estremamente attiva in vari campi, in veste di oratrice e portavoce, si è aggiudicata parecchi premi letterari di una certa importanza e ha conquistato l’attenzione della critica mondiale. Oggi vive principalmente nel suo paese di origine dove, fra i vari impegni, tiene lezioni universitarie e viaggia con molta frequenza.

Sembra che la scrittura sia sempre stata per Chimamanda una sorta di attività naturale, piuttosto che una scelta, tanto che in giovanissima età vantava già una produzione scritta privata considerevole e aveva poco più di 20 anni quando fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie.
In un’intervista di qualche tempo fa Chimamanda ha affermato di aver sempre avuto e manifestato un lato artistico, incline alla creazione fuori dagli schemi predefiniti, che la sua famiglia ha sempre assecondato e che è sbocciata liberamente nella sua arte di scrittrice. Da un lato Chimamanda è un’esteta, sostenitrice di una bellezza non convenzionale e non globalizzata, bensì sofisticata e attenta ai dettagli. Chimamanda riversa chiaramente tale sua inclinazione e questa parte del suo carattere nei suoi libri. Ho trovato la scrittura di Chimamanda molto femminile (per il tipo di sensibilità che vi si manifesta), ‘intellettualmente elegante’ (in effetti, non so se ha senso, ma  è l’aggettivo che mi sento di dare), talvolta ironica e provocatoria. Chimamanda ha in più occasioni confessato che il suo più grande modello ispiratore è sempre stato lo scrittore Chinua Achebe, che l’ha aiutata a trovare la sua strada ed a liberarsi dall’imposizione della letteratura ‘importata’ occidentale nella quale non riusciva ad immergersi completamente. Seguendo la linea di insegnamento del Maestro, anche per lei la letteratura è un’arma e deve essere utilizzata come tale.
Fra le altre cose, Chimamanda oggi utilizza la scrittura e la voce come armi per combattere una battaglia contro gli stereotipi di razza e di genere, contro i vari sistemi di potere del mondo contemporaneo. A proposito di quest’ultimo argomento, ho notato che negli ultimi mesi è stato ben esposto nelle librerie un piccolo e interessante libretto che riporta il discorso tenuto da Chimamanda nel 2013 durante una conferenza TEDx, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo Dovremmo essere tutti femministi, in cui insiste su come la questione del gender non abbia avuto un’evoluzione consistente nel corso dei secoli, ma questo mi porta a ragionare su un’altro punto a cui forse vorrò dedicare un altro post in futuro.


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