La lusofonia secondo Ondjaki e il retaggio coloniale in Angola

Ho un certo entusiasmo nel presentare in questo spazio personale un giovane scrittore contemporaneo, che per me rappresenta una casuale scoperta molto recente. In questo caso, tale entusiasmo è dato innanzitutto dal piacere riscontrato nell’ascolto e nella lettura delle parole dell’artista (dalle quali sono stata quasi ‘ossessionata’ negli ultimi giorni, date le molteplici ricerche fatte), in secondo luogo, dalla condivisione dell’idea centrale della sua poetica. Generalmente in questo blog tratto temi e scrittori con i quali ho una certa ‘familiarità’, se così si può dire, o di cui ho letto almeno una piccola parte della loro bibliografia; diversamente, utilizzerò questo spazio proprio per raccogliere le mie nuove ricerche su questo artista contemporaneo, passo dopo passo.

Oggi ho voluto riflettere (nella mia mente), ancora una volta sulla questione degli otto secoli di lingua portoghese e sulla prospettiva linguistica delle ex-colonie, e la mia attenzione è stata attirata da alcune riflessioni interessanti dello scrittore di cui sto proponendo qui una piccolissima presentazione.

Ondjaki, escritor e poeta Angolano, on the road
Ondjaki, artista contemporaneo angolano.

Dunque, Ondjaki (di nascita Ndalu de Almeida) nasce a Luanda nel 1977, in una famiglia etnicamente mista: padre angolano e discendente di portoghesi europei, madre angolana, la cui nonna aveva sposato un olandese. Proprio sua madre aveva inizialmente scelto per lui il nome Ondjaki di origine in lingua umbundu e dai molteplici significati, fra cui quello di guerriero. Tuttavia, una vicina di casa della famiglia aveva fatto presente che ondja nella lingua locale era un sostantivo di cattivo augurio; di conseguenza, questo avrebbe potuto causare problemi al futuro nascituro. Pertanto, il primo nome scelto viene messo da parte e sostituito da Ndalu, destinato ad essere comunque rimpiazzato dal precedente per volere del diretto interessato, una volta giunto in età matura. Ondjaki passa l’infanzia a Luanda e frequenta le scuole del posto; successivamente, si iscrive alla facoltà di sociologia e, qualche tempo dopo, si trasferisce in Europa per motivi di studio, dove frequenta l’università di Lisbona e scrive una tesi sullo scrittore angolano Luandino Vieira.  Ondjaki, artista eclettico e interessato alla sperimentazione delle varie forme di arte, vanta già una consistente produzione artistica, fra racconti, romanzi, poesie (in buona parte già tradotti in varie lingue, italiano incluso); avvicinatosi anche alla pittura, al teatro e alla cinematografia, egli ha collaborato nella scrittura di testi specializzati e ha prodotto alcuni documentari (História de Luanda è un esempio interessante). Nonostante la giovane età, si è ben presto distinto per l’assegnazione di numerosi riconoscimenti letterari, fra cui il premio José Saramago nel 2013 con il romanzo Os Transparentes; è membro dell’associazione degli scrittori angolani e vive attualmente a Rio de Janeiro.

La sua terra di origine, l’Angola, è un vasto territorio geo-politico dalle molteplici sfaccettature che credo sarebbe impossibile conoscere interamente attraverso l’opera di un artista; tuttavia, attraverso Ondjaki si riescono a cogliere le immagini di almeno una parte della capitale molto attiva e con un profilo culturale ben marcato, che si distingue per l’esagerazione e la teatralità delle sue espressioni. La forma della lingua portoghese angolana è caratterizzata da un suono peculiare e viene utilizzata creativamente dalla sua comunità linguistica; è noto che gli angolani inventino parole e che plasmino la loro lingua per renderla locale. Trascorrere l’infanzia a Luanda per Ondjaki, così come per i bambini della stessa generazione, significa essere prematuramente coinvolti nella vita politica dell’Angola in cui, benché indipendente dal Portogallo dal 1975, gran parte della vita e dei ritmi della quotidianità dipendono fortemente dalle problematiche della politica stessa, dalla questione della libertà e dalle vicende storiche. Certamente in questo senso si riconoscono gli elementi comuni dei paesi decolonizzati, ovvero la presenza minacciosa e costante della guerra, la lotta, la resistenza, il legame con la storia, l’importanza dell’atto di scrivere, di raccontare e fare arte.

Ondjaki mi ha colpito sin da subito non solo per il suo carisma, per il suo linguaggio vivace, creativo, ironico e sferzante allo stesso tempo; sostenitore dell’identità angolana nella sua originalità e unicità, egli fa della scrittura un utilizzo necessario per liberare, per resistere al potere, per affermare e, nello stesso tempo, essa è un piacere puro: scrivere senza secondi fini.

PALOP, mappa del Paesi Africani di Lingua Ufficiale Portoghese
PALOP, mappa del Paesi Africani di Lingua Ufficiale Portoghese

Ondjaki ha una posizione ben definita nei confronti della lusofonia, un termine che egli aborra poiché lo giudica discriminatorio e di retaggio coloniale. Lusofonia è un termine che io personalmente ho usato e uso frequentemente per riferirmi a tutti i contesti di utilizzo della lingua portoghese, senza darci troppo peso e ignorando, in verità, il problema di fondo. Tuttavia, da Ondjiaki apprendo l’uso politico della parola. Con il temine ‘Paesi Lusofoni’ ci si riferisce ai paesi del Terzo Mondo (anch’essa un’espressione molto politica) in cui si parla portoghese come lingua ufficiale, anche indicati come Paesi di ‘espressione portoghese’. È evidente qui il radicamento (ancora attuale) del  linguaggio coloniale; tuttavia, a pensarci bene, non c’è reale motivo per cui un paese, come ad esempio l’Angola, debba essere ancora legata a tal punto al Portogallo e, per quanto la lingua ufficiale rimanga certamente la stessa, bisogna guardare le cose come realmente sono e rendersi conto che si tratta di una forma linguistica puramente angolana.

Dunque, Ondjaki punta il dito contro l’uso politico del termine  e ne parla in occasione di un incontro letterario per il Festival nazionale della letteratura Metropolis Bleu tenutosi nel Maggio del 2014. Mi sono presa la libertà di riportare il discorso in italiano in basso e lasciar parlare l’artista.

«A proposito della questione della lusofonia… innanzitutto voglio dire una cosa: non mi interessa nulla né dei nomi, né della strumentalizzazione che la politica fa dei nomi, ecco la prima cosa che voglio dire. Non mi piace questo termine, non lo trovo un termine corretto, per quanto lo possa accettare nella sua accezione fonetica (lusofonia), ma non credo che la gente lo utilizzi per riferirsi alla  fonia. Ecco dov’è il problema. Quando, soprattutto i politici, dicono lusofonia si riferiscono – cosa spiacevole- sapete a cosa? Ai cinque paesi africani. Invece, teoricamente la lusofonia dovrebbe inglobare Portogallo, Brasile, Timor e, secondo la mia opinione, tutte le grandi o piccole comunità che hanno un interesse – e non dico che lavorano- per la nostra lingua. Ecco come potrebbe definirsi la lusofonia, magari inglobando i lusofili o chiunque si ‘muova’ all’interno della lingua portoghese. Poi alcuni dicono “no, non abbiamo una parola per questo, esistono gli anglofoni, i francofoni e affini.. e perché i francofoni sono francofoni e non ‘senegalofoni’? A causa della lingua francese. Certo sto esagerando, è una provocazione. Eppure anche nel caso della Francofonie, non è sempre Francofonie, è ‘francorecuperation’, è ‘francoreagrupation’, certo, quando la gente usa i termini in questa maniera mi da fastidio, non possono essere usati in questo modo! Se mi si domanda: cosa abbiamo in comune? Ci sono tante cose, in primis la lingua, poi il passato storico comune. Poi ci sono elementi culturali che, benché non siano comuni poiché descrivono ciascun popolo, possono essere elaborati in una cosa comune che è la lingua, poiché la lingua nessuno la mette in questione; non serve che venga un politico a dirci che un abitante di Cunén (dove si parla portoghese) si intende con una persona di Sant’Antonio (Capo Verde) che parla pure portoghese – oltre al creolo- e che si capirà con una persona delle Azzorre, dell’Alentejo, di Rio de Janeiro etc.. di Timor perché parla portoghese (con questa o quella cadenza) ecco la cosa bella e importante, io atterro a Capo Verde e parlo portoghese, atterro qui e parlo portoghese, diversamente atterro in Cina e non parlo portoghese; certo ci sono i cinesi che parlano portoghese per loro scelta (o per necessità) ma diciamo che storicamente ci sono dei luoghi dove andiamo e riusciamo (più o meno) a sentirci a casa a causa della lingua, questo ha senso per me. Ma creare livelli della lingua e decide chi è meno lusofono o più lusofono… Mi è capitato in Portogallo in un’occasione simile a questa, una signora mi rivolse una domanda a proposito del libro di poesia, mi chiese: “Onjaky a proposito del suo libro di poesia… mi piacerebbe che mi dicesse una cosa, in quanto autore lusofono, quali sono le differenze che riscontra fra la poesia lusofona e la poesia portoghese?” Io risposi”Grazie! Grazie!” E lei “Grazie? – tutta contenta- Grazie, ma come?” ed io “Sì, grazie perché lei ha appena espresso un sentimento comune, cosciente o incosciente che sia, ovvero che esiste la poesia portoghese, la poesia brasiliana e la poesia lusofona rappresentata da noi! Siamo gli africani! E invece no! Soffermiamoci un attimo, dunque, o ad ognuno ik proprio paese (Angola, Brasile, Portogallo…). Noi siamo una cosa semplice, ovvero PALOP, un termine corretto, Paesi Africani di Lingua Ufficiale Portoghese, non c’è nulla di politico, è una cosa estremamente razionale, Paesi Africani di Lingua Ufficiale..perfetto! Ora, quando mi si dice:”Lei è scrittore lusofono…” a me?? Io rispondo: “Ma lei si è mai chiesta se il signor Saramago o il signor João Ubaldo Ribeiro siano scrittori lusofoni?Perché i lusofoni siamo solo noi, io, Mia (Couto), Germano (Almeida), Luandino (Vieira)… solo gli africani sono scrittori lusofoni. João Tordo non è uno scrittore lusofono, Gonçalo Tavares non è uno scrittore lusofono, né Lobo Antunes..  che lo siano o non lo siano non ha importanza, quello che voglio dire è che o siamo tutti lusofoni… o non lo è nessuno (ou somos todos lusófonos, ou há moralidade) come si diceva un tempo…».


2 responses to “La lusofonia secondo Ondjaki e il retaggio coloniale in Angola”

Leave a comment